Guido Colomba
La
Germania è il problema più grave del momento. Il premier
Matteo Renzi, in vista della colazione di giovedì a Palazzo Chigi con la
cancelliera Angela Merkel, ha mandato il suo preavviso formalmente
indirizzato al presidente della Bundesbank Weidmann: "Si preoccupi delle
banche tedesche, meno pensa all'Italia meglio è". Il confronto aspro
sulla crisi delle banche si aggiunge a quello sui migranti. Ed anche Mario
Draghi, presidente della Bce, ha puntato il dito contro il surplus tedesco
che viola da dieci anni gli accordi di Maastricht. Sui tassi bassi, che
azzerano i rendimenti del risparmio investito dalle famiglie, Draghi ha usato
il randello: "Con una crisi che implica una perdita di prodotto
permanente, la ricchezza dei risparmiatori sarebbe inevitabilmente
inferiore". La terapia per reagire all'eccesso di risparmio risiede -
afferma Draghi- in una crescita sufficientemente forte da generare reddito
per creditori e debitori". Chi invoca un ruolo minore delle banche
centrali e un QE più breve deve necessariamente garantire "un ruolo
maggiore per la politica fiscale". Alla luce di queste frecciate alla
politica dell'austerità imposta da Berlino da otto anni, non c'è da
sorprendersi se i titoli bancari, ieri ed oggi, abbiano ceduto vistosamente
sia in Italia che in Europa. Con l'aggravante di un euro che ha superato
quota 1,15 nei confronti del dollaro. Un livello certamente non gradito agli
esportatori. Purtroppo, dopo venti anni, i mancati controlli sui mercati
finanziari hanno abituato i governi occidentali (spesso consigliati dalle
banche centrali) ad agire usando una forte leva finanziaria. Basti pensare al
piano-fantasma annunciato nel 2015 dal presidente della commissione UE,
Juncker. Non solo in tema di derivati tossici che affliggono le banche
tedesche; anche il Fondo Atlante, pur accolto con grandi apprezzamenti per
avere impedito un rischio bancario sistemico, non sfugge a questa regola. Con
gli attuali 4,25 miliardi la "leva", riferita a 84,6 miliardi di
Npl, è pari a venti volte. Lo stesso livello della Deutsche Bank. Non a caso
Draghi ha accolto "Atlante"come un "piccolo passo" nella
giusta direzione. D'altra parte i fondi raccolti sono pari al 5,1% dei
crediti deteriorati (saldo netto). Circa la metà di questa dotazione risulta
già impegnata per far fronte alla vicenda della Popolare di Vicenza (1,5
miliardi) ed all'aumento di capitale di Veneto Banca (un miliardo).
E'evidente che occorrono altri mezzi. Il vero problema è costituito
dall'eccesso di risparmio accumulato dai privati e la mancanza di fiducia che
impedisce un utilizzo "trasparente" nell'economia reale. Molti
economisti, come Krugman e Stiglitz, da tempo invocano per l'Europa un
rilancio degli investimenti, pubblici e privati, per rilanciare l'economia e
i salari. In Italia, c'è una proposta sul tappeto: quella di aprire alle
sottoscrizioni retail il Fondo Atlante con una garanzia del 5%. Questa
apertura verso i privati rafforzerebbe la dotazione di capitale rendendo più
certo lo smaltimento dei crediti deteriorati. Il punto è cruciale atteso che
i Fondi specializzati nel recupero crediti hanno sin qui ottenuto rendimenti
tra il 12% e il 15%. Un divario medio di otto punti e mezzo che rappresenta
una differenza del 21,25% rispetto alla valorizzazione a bilancio nelle
banche italiane. Tutto ciò dimostra, come ha invocato Nino Andreatta,
l'urgenza di un mercato integrato per l'Europa utile per le imprese e per i
risparmiatori. La garanzia richiesta è una sola: onestà e trasparenza.
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