Elisabetta Gaia Scuri (MICRI 1)
I
social network hanno completamente cambiato il modo di ottenere consenso, tanto
in politica quanto nelle relazioni personali e nel mondo dei media.
Si
sente spesso parlare di citizen
journalism: si tratta di un processo di disintermediazione, nel quale la
figura del giornalista non è più indispensabile nella trasmissione delle
informazioni, perché chiunque può riportare una notizia sul web. Anche se, come
giustamente osserva Luca De Biase sul suo blog, solo un professionista
dell’informazione può fornirci quelle riflessioni a posteriori di un evento che
lo vanno ad arricchire anche successivamente. Viene da chiedersi, però, come
mai tutto questo avvenga: la risposta sta nel fatto che le persone non vogliono
più sentirsi escluse dai processi di costruzione della realtà, né spettatori
passivi senza alcun potere decisionale.
È
esattamente ciò che sta accadendo nel mondo della politica: si avverte sfiducia
nei confronti della politica tradizionale, considerata idealista, piena di
luoghi comuni, infarcita di promesse irrealizzabili e lontana dai problemi
della vita quotidiana del cittadino medio. Non c’è quindi da stupirsi per il
successo riscosso da Donald Trump negli USA. Quest’uomo ha saputo usare i
social media in due modi: li ha sfruttati per cogliere l’umore degli individui
e capire quali fossero i reali bisogni della gente comune, e allo stesso tempo
li ha scelti come arma per scrivere in prima persona e guadagnare consensi.
L’interazione diretta, il linguaggio semplice e non costruito lo hanno
avvicinato ai suoi elettori, facendolo sembrare uno che dice le cose come
stanno, che non si censura per via delle regole del mondo istituzionale e che,
soprattutto, si preoccupa di ciò che importa davvero a chi la mattina si alza e
va a lavorare in fabbrica, in miniera o da Mc Donald’s, il cui obiettivo
principale è guadagnarsi il pane e non tanto che tutti abbiano gli stessi diritti
o che venga raggiunta la pace in Siria. Il suo andare contro corrente, il suo
essere totalmente “politically uncorrect”,
lo hanno reso più simile a tutte queste persone, che al comando vogliono
qualcuno che parli e agisca concretamente, senza preoccuparsi di piacere agli
altri politici perbenisti e fasulli. Tutto ciò che dicono questi ultimi, per
Trump è “fake news”: nessun concetto
potrebbe essere più azzeccato per esprimere ciò che i suoi stessi elettori
pensano, sentendosi traditi e calpestati da chi in continuazione non dice la ‹‹verità››
solo per coprire i propri interessi (a questo punto viene da chiedersi come mai
uno come Paul Ryan, portavoce della camera statunitense, poi aspramente
criticato dal Washington Post, abbia deciso di appoggiare Trump nonostante non
lo approvi – non è forse questo rinunciare al perseguimento della verità
soltanto perché è più facile, e più
conveniente, adeguarsi?). C’è da dire, poi, che i media tradizionali non
hanno fatto altro che alimentare le pungenti affermazioni di quello che è
diventato il presidente americano, dando vita ad un gigantesco “rimbalzo
mediatico”, come osserva puntualmente Oscar Bartoli, giornalista italiano che
vive a Washington Dc da più di vent’anni. È chiaro che la visibilità è indispensabile
per ottenere consenso e Mr. Trump ha di certo messo in atto una strategia vincente
e piuttosto intelligente, tanto che le fake
news non solo hanno caratterizzato le elezioni americane, ma si apprestano
ad “inquinare” anche le imminenti elezioni francesi del prossimo 23 aprile.
Sostanzialmente
oggi, per raggiungere il ‹‹consenso››, non si può più prescindere dal fatto che
tutti vogliono partecipare attivamente al dibattito e desiderano sentirsi
considerati e direttamente coinvolti nelle decisioni. In fin dei conti, è
sempre stato così: noi esseri umani abbiamo bisogno di sentirci parte di
qualcosa, di appartenere a qualcosa – ecco perché le adunate dei partiti
fascista e nazista riscuotevano tanto successo – e la massima espressione di
questa volontà si realizza nelle società di massa, “nelle quali troppo spesso si
rinuncia alla propria individualità e autonomia di giudizio, perché è più
facile parlare con le parole degli altri”, sottolinea ancora Bartoli.
Non
è un caso che sempre più persone decidano di arruolarsi tra le file dell’ISIS,
che promette a individui che non si sentono accettati e che non percepiscono
alcun senso di appartenenza, trattandosi spesso di immigrati che non sanno più
quale sia la loro identità, la possibilità di dare finalmente un senso e uno
scopo alla propria vita, ma soprattutto di essere qualcuno di importante, in
grado di apportare un cambiamento reale nel mondo. Ed è ancor più significativo
il fatto che Daesh utilizzi proprio
le piattaforme social per diffondere il proprio messaggio e reclutare nuovi
seguaci; si tratta sicuramente di uno degli esempi più calzanti per dimostrare
quanto queste siano divenute fondamentali nell’ottenere consensi. Anzi, a volte
i metodi e i media tradizionali non sono più efficaci: se pensiamo alla prima
elezione di Barack Obama, è stato il web a garantire il raggiungimento di un
vasto pubblico. In Italia, addirittura, esistono votazioni effettuate on-line. Non
si tratta quindi, a detta di Sara Bentivegna, insegnante presso la Sapienza di
Roma, di “un vezzo giornalistico trasversalmente presente nei nostri media”, ma
di una realtà ormai assodata.
I
social media permettono di far parte di una grande comunità nella quale ognuno
ha diritto di esprimersi, e ormai la popolarità di ciascuno si basa non più su
quanti amici abbia nella realtà o su quanto sia cool al liceo (cosa altrettanto odiata da chi a scuola non era
“figo”), bensì da quanti likes ha la
sua foto profilo o da quanti followers
possiede su Instagram o Twitter. Soltanto così ci si sente davvero apprezzati
ed è su questo che si basano le proprie relazioni. Forse proprio perché non
sappiamo più discernere tra realtà e finzione, e a causa della nostra
propensione ad omologarci, non dovremmo procedere ad un completo processo di
disintermediazione: nonostante tutto abbiamo bisogno di una guida, di qualcuno
che ci aiuti a capire quello che ci sta intorno (che non è affatto facile!),
che, come ci ricorda Carlo Sorrentino, autore di vari testi sul giornalismo,
funga da “bussola” per fornirci le coordinate e da “mappa” per orientarci nel
mondo.
E
che, non da ultimo, ci aiuti a distinguere news da fake news.