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Sfruttare le emozioni di rabbia e odio insite in tutti



di Valentina Filippini (MICRI 3)
Consenso, una parola ampiamente usata nel mondo politico, ma forse poco compresa. Cosa intendiamo per consenso? E a quale tipologia di consenso ci riferiamo? Tacito, espresso, subìto?
Partendo dalla sua definizione, la parola consenso dal latino consensus è l’adesione alla volontà altrui, ma nello specifico del linguaggio politico può essere definito come l’appoggio, il favore di persone a determinate figure politiche o partiti politici. Innanzitutto, punto fondamentale della questione consenso è la conoscenza che sta alla base del consenso. Prima di dare il consenso per qualsiasi cosa, dobbiamo ben sapere di cosa stiamo parlando. Se per esempio acconsento al trattamento dei dati personali in un quando mi registro su un portale, dovrò prima informarmi adeguatamente sul significato di ciò. E dunque lo stesso discorso vale anche nel mondo politico, devo avere ben chiare le idee sul perché decido di appoggiare un determinato pensiero politico piuttosto che un altro, siete d’accordo? Se la risposta è no, allora non possiamo parlare di consenso vero e proprio, ma di un semplice interesse disinteressato per un determinato argomento.
Esistono dunque due grandi tipologie di consenso, quello pienamente espresso con piena cognizione di causa e quello più nascosto, o per meglio dire tacito, che si basa su una forma di “simpatizzazione” per una persona o per un discorso.
Il consenso al quale io faccio riferimento nell’articolo è però una forma che po’ inglobare in sé le due grandi tipologie citate sopra; ovvero il consenso visto come comune utilità, più alto è il mio consenso più probabilità avrò di fare politica. Da chi venga il consenso, poco importa.


La politica non può esistere senza il concetto di consenso, non c’è politica senza consenso. È bene tenere a mente questa ultima affermazione, poiché è la chiave per comprendere tutto ciò che avviene nel mondo politico. Un politico di per sé non ha ragione di esistere senza un certo numero di seguito, sono le persone stesse che attraverso il loro consenso danno importanza a questo o quel partito. Ogni partito per sua stessa etimologia della parola porta alla divisione in parti, che vanno a creare un’identità collettiva che annulla quella individuale.
Compreso bene ciò, non sarà difficile comprendere quale sia il modo migliore e più facile per ottenere il tanto cercato favore del popolo.
E bene dunque, come ottenerlo?
Nell’era digitale nella quale viviamo non è poi cosi difficile capire cosa piace alla “massa”, (mi pare il termine più appropriato), perché la politica non è come abbiamo visto formata da singoli individui e non è diretta a singoli individui. Possiamo definire la comunicazione politica come un rapporto many to many, una folla che parla ad un’altra folla, dove il messaggio si perde tra le urla di una e dell’altra parte.

Se un tempo il consenso, e il voto si ottenevano per senso di appartenenza ad una classe sociale, a dei valori ben precisi, per senso del dovere nel mantenere una propria linea, senza andare dove tira il vento; oggigiorno, invece basta un tweet, un commento su facebook, basta una foto per far cambiare continuamente opinione, e seguire il pensiero dei più. Come a dire “io sto con la maggioranza”, quindi “sto con ciò che è giusto”.
È infatti opinione comune la ragione sta dove sta il maggior numero di consensi. Ma chi stabilisce ciò che è giusto, ciò che è vero; non forse il nostro senso critico individuale?
Di sicuro è ben più facile ricercare e trovare un seguito numeroso di consensi, seguendo l’opinione condivisa dalla maggioranza, e poco importa se andiamo dietro ad un gregge di pecore, giusto? A che prezzo tutto questo? Siamo così sicuri che le stesse persone che esprimono il proprio consenso con un like, sappiamo esattamente quale ideale si nasconda dietro a quelle parole o a quella foto? Non penso; ma d’altronde a chi interessa. Una volta ottenuti i “like”, la missione si può definire conclusa. Indagare dietro ad essi non è più interesse del politico, del partito.
La maggioranza dei politici ha visto una via senza ostacoli e ci si è buttata a capofitto senza troppe remore morali, allo scopo di ottenere il consenso, l’approvazione, l’applauso del pubblico. Hanno deciso di trasformarsi in populisti e demagoghi, pur di ottenere il loro seguito e continuare a “fare carriera”, tante parole che non definirei neanche troppo belle, pur di non staccarsi dalla loro comoda sedia.
Non conta più la verità, conta solo il consenso. Consenso a tutti i costi, ed emblematico è l’esempio di Cetto La Qualunque, nel film “Qualunquemente” di Antonio Albanese, che ritrae un’immagine della politica italiana attuale, che si basa principalmente su dire ciò che la gente vuole sentirsi dire, senza un perché e senza alcun ragionamento alla base. La razionalità, la logica non sono abbastanza attraenti per il pubblico. E dunque diamo alla massa ciò che vuole, senza troppe domande.

Questa visione politica poco si distacca infatti da ciò che è avvenuto nella realtà politica americana di Trump, il quale di politica conosce ben poco, o forse, molto più probabilmente, conosce anche troppo. Gli ingranaggi della politica non sono forse gli stessi del marketing? Se ci si pensa l’elettore è il consumatore alla fine dei conti, e questo Trump lo ha sempre tenuto a mente. Se sei bravo a fare business è intuibile che sarai ulteriormente bravo a fare politica, o per lo meno la politica in voga ai giorni nostri.

Come Trump sia riuscito ad ottenere la Casa Bianca, non è difficile da comprendere. Per riprendere un concetto del marketing, Trump invece di testare il prodotto sul mercato, ha testato le parole, quelle giuste da usare al momento giusto. E, a rigor di logica, quale mezzo migliore di Facebook o Twitter?. Ancora meglio se nel tuo staff hai qualcuno esperto di social media, che può interagire al posto tuo con i potenziali “clienti”.
Un processo semplice ma ben pensato, e così è stato. Per vincere non ci sono volute parole forbite, che solo un quarto della popolazione può comprendere, non ci sono voluti miliardi di dollari; ma parole semplici, parole che piacciono, parole che non tutti hanno il coraggio di dire in pubblico.

Non è forse questo il segreto di Trump? Mostrarsi fearless davanti all’establishment, davanti a delle imprescindibili norme di comportamento, davanti all’opinione pubblica. Un linguaggio senza filtri, proprio come quello che i social media ti impongono: scrivere ciò che si pensa, la verità nuda e cruda dei nostri pensieri, senza la paura del giudizio altrui. È esattamente questo le persone vogliono. Saper sfruttare al massimo la potenza dei social è tutto ciò che serve per fare politica oggi.

Fino a qualche anno fa i social erano considerati degli strumenti per i soli giovani che volevano condividere vari momenti della propria vita con amici e meno amici, ma oggi nel 2017 i social sono un tool imprescindibile per “fare” politica, o per meglio dire, per ottenere l’applauso della folla.
La presenza sui social è libera, gratuita e senza filtri. Mentre invece per partecipare ad un programma televisivo o per scrivere su di un giornale bisogna essere conosciuti, bisogna già essere interessanti per quei media e conquistarsi la propria fetta di visibilità. Con i social invece tutto è capovolto, tutti possono aprire la propria pagina personale e accedere a un pubblico potenzialmente illimitato.

Ci sono due filosofie da seguire per fare la nuova politica, la prima dice “posta ciò che pensi se è in accordo con il tuo pubblico”, la seconda invece dice “non postare ciò che pensi, se la tua audience sarà in disaccordo con te”. Questi sono i due “must” della politica odierna. E prendiamo di nuovo Trump, per esplicare questo concetto. Nessuno sa se ciò che dice è conforme a ciò che pensa veramente, ma tutti comprendono che le sue parole rispecchiano il pensiero del suo pubblico. Questo ci porta ad un’unica conclusione: poco importa conoscere il vero pensiero di Trump, ciò che conta è ciò che dice e ciò che fa.

Aizzare, incitare e fomentare la folla possono sembrare espressioni un po’ barbariche ma che, alla fine dei conti, funzionano. Che sia attraverso un microfono, attraverso un tweet, o attraverso una foto, lo scopo rimane sempre lo stesso; trovare un capro espiatorio contro il quale far inveire la folla.
Che siano i messicani negli USA, o gli immigrati clandestini in Italia, ogni nazione ha il suo “nemico” da combattere.

Se la politica è arrivata ad essere una lotta fra chi inneggia di più all’odio, è perché l’uomo di base è homo economicus, pensa a se stesso, alla propria sicurezza personale ed economica e se ne frega del resto. Filosofia spicciola, voi penserete, ma purtroppo vera. Dai all’uomo ciò che vuole, o per lo meno fagli credere che glielo darai, e lui ti voterà. È un concetto tanto ipocrita quanto giusto, una specie di baratto dei tempi andati.

Pensare di cambiare la natura dell’uomo con delle frasi che portano messaggi di fratellanza, unione e vicinanza tra i popoli non serve a niente se per prima cosa non elimini ciò che l’uomo vede in sé come una minaccia alla sua esistenza. Trump ha capito bene il “giuoco delle parti”, e la sua parte è quella dell’uomo cattivo che combatte i “cattivi”, per garantire la sicurezza dei suoi cittadini. Questo è quello che conta per la maggioranza del popolo americano e non solo. Saper sfruttare le emozioni di rabbia e odio insite in tutti, è una mossa subdola ma che mira ad uno scopo preciso, il consenso.

Trump dice ad alta voce ciò che tanti non hanno mai avuto il coraggio di dire, ma che allo stesso tempo hanno sempre pensato.
E così come per vendere un prodotto bisogna individuare i bisogni delle persone allo stesso modo per vendersi bene nel mondo politico, basta fare lo stesso. L’elettore è il cliente al quale si pone una tacita domanda “di cosa hai bisogno?”. Tutte le risposte soddisfatte si trasformeranno in consenso.