Guido Colomba
C'è voluto Mario
Draghi per spiegare il mancato aumento dei consumi. Il presidente della Bce
ha detto che senza aumento dei salari non è pensabile un aumento dei consumi.
Per l'Italia ha indicato nella tassazione eccessiva del lavoro - il famoso
cuneo fiscale - la causa preminente della disoccupazione giovanile, superiore
in media al 40% (60% nel Mezzogiorno). Questo è il vero significato della
"riforma strutturale" di cui l'Italia ha urgente bisogno. La sollecita
il Fondo monetario internazionale. Più ambigua la posizione della Ue visto
che il "fiscal compact" è palesemente in contrasto con questo
obiettivo. Con un sistema bancario affogato dalla sofferenze (sono 200
miliardi quelle lorde e 80 miliardi quelle nette) l'attività economica non ha
beneficiato della liquidità immessa dalla Bce. La relazione tra crescita,
occupazione e prezzi (la famosa curva di Phillips) è ormai desueta.
Purtroppo, le lentezze della politica complicano e di molto il problema. Basti
pensare che il Monte Paschi, dopo anni e mesi di misure straordinarie, è di
nuovo in difficoltà con la stessa Bce, nel dare una soluzione ai 45,8
miliardi di sofferenze lorde (20,3 nette). Nel frattempo brilla la mancanza
delle cartolarizzazioni. Non sfugge a nessuno che, con l'arrivo della
Vigilanza europea della Bce, molti altarini sono venuti allo scoperto con
buona pace della Banca d'Italia la cui Vigilanza non è stata all'altezza del
compito. Nè le rampogne tardive del Governatore, Vincenzo Visco, possono
obliterare questa verità. La situazione è così complessa che Il governo
Gentiloni cerca da settimane di varare la "manovrina" correttiva di
3,4 miliardi (decisione attesa in giornata). Eppure si dovrebbe parlare a
tutta voce, anche al Parlamento, di un tema prioritario: l'"output
gap" tra l'andamento effettivo dell'economia e quello potenziale. Le
diverse modalità nell'effettuare questa valutazione continuano a danneggiare
l'Italia aggravando gli effetti perversi del "fiscal compact" e,
per le banche, del "bail-in". Finora, il ministro Padoan non ha
ottenuto nulla di concreto da Bruxelles. Il fallimento della politica di
contrasto verso i burocrati europei è attestato dal calo costante degli
investimenti pubblici (-35% a prezzi correnti tra il 2009 e il 2016). Ad
aggravarlo vi è il ritardo nei pagamenti che si è esteso a macchia d'olio a
tutto il sistema economico con previsioni negative (uno su tre) per i
prossimi mesi a conferma di un permanente clima di sfiducia. L'inadeguatezza
delle infrastrutture è all'origine della decadenza e del ristagno ventennale
dell'economia italiana. Eppure, le stime convergono sul fatto che il
moltiplicatore derivante dagli investimenti pubblici, basati su una valida
"cost and benefit anlysis", è pari a due punti rispetto al Pil
nell'arco di due-tre anni. Molto meglio degli interventi sociali "a
pioggia". Gli slogan dei populismi non servono a niente. Chi continua a
pagare è solo il ceto medio. Gentiloni si prepari ad andare a Taormina per il
G7, il 26 maggio, con obiettivi chiari imponendo al Tesoro una vera svolta
che serva di base per una revisione degli accordi europei.
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