Jacopo Gobbo (MICRI 2)
Per ottenere consenso politico, mediatico e nei rapporti interpersonali non
è necessario essere veramente e genuinamente interessati alla realtà dei nostri
interlocutori. Che siano essi individui singoli o gruppi di essi. L’essere
umano medio infatti è un animale intellettualmente pigro che al ragionamento
preferisce la mera assimilazione di ciò che viene detto, con la presunzione che si tratti di
pura ed incontestabile verità. Un po' come narra George Orwell in 1984,
distopia si, ma non più di tanto.
La
storia, soprattutto quella recente, ci insegna che la demagogia e la finta
empatia con il popolo sono l’ingrediente segreto per ottenere consensi ed
apprezzamenti.
“Prometti alle persone che sanerai tutti
i loro mali e verrai trattato come un dio.”
Il
consenso di massa si basa dunque su due realtà tanto palesi quanto allo stesso
tempo celate: la divisione della società in classi e il conseguente potere
intellettuale dei pochi a discapito dei molti.
Nulla è
mai cambiato durante la storia e dubito che qualcosa mai cambierà. Barabba è
stato liberato a discapito di Gesù dopo che i sacerdoti ebrei indottrinarono il
popolo e lo veicolarono verso la scelta più vantaggiosa per loro. Lo stesso
ragionamento è applicabile alle crociate, dove con la promessa di terre, tesori
e soprattutto della redenzione eterna milioni di persone furono convinte ad
affrontare una guerra, poi persa, contro un presunto nemico di cui non
conoscevano nemmeno le generalità.
Nell’ex Unione Sovietica è stato
inventato il mito del minatore Stachanov, per spingere la popolazione ad
intensificare la produzione per partecipare alla grandezza e alla gloria
nazionale.
Questi sono esempi di come la
teoria alla base dell’ottenimento consenso sia rimasta immutata, come
d’altronde l’indole dell’essere umano. Ad essere cambiato, o meglio evoluto
sono stati i mezzi a traverso i quali il consenso viene cercato.
Originariamente il veicolo di
indottrinamento era l’orazione frontale,diretta, con l’invenzione della stampa
è stato il manifesto prima e le encicliche poi a permettere l’ottenimento di un
consenso di massa sempre maggiore. Così è stato fino alla stampa di massa e
alla televisione, per poi, infine arrivare alla contemporanea era digitale dove
tutto è più veloce, personalizzato ed immediato.
I protagonisti di questo nuovo
capitolo sono Internet, social network e i Big Data, che ne sono progenie
diretta. Tutti i dati provenienti
dalla navigazione di un utente, dai suoi precedenti acquisti, dai prodotti
valutati o ricercati permettono ai colossi del commercio di suggerire quali
possono essere i prodotti più adatti agli scopi del cliente, i prodotti che lo spingono a comprare per necessità momentanea, permanente o per
semplice impulso.
Grazie ai Big data l’utilizzatore di internet
si è trasformato da acquirente a prodotto, pacchetti di dati personali vengono
giornalmente venduti a grandi società in internet, dati che servono allo studio
di tendenze, mode ed inclinazioni della popolazione; così è come funzionano le
cose in ambito economico e della società digitale e consumista.
Grazie ai Social Network la tendenza è la
stessa anche in campo politico, il consenso è cercato in rete e nei social,
dove si riesce a toccare la sfera più intima dell’utente e dove la finzione di
una relazione diretta con il proprio interlocutore regna sovrana. I Big Data
sono l’evoluzione della politica dei sondaggi, al contrario di questi ultimi
permettono una conoscenza più intima del potenziale elettore dividendo
l’elettorato in target in base a gruppi sociali e demografici, ciascuno dei
quali poteva essere misurato e valutato secondo le proprie caratteristiche
rendendoti agli occhi del popolo più familiare, più prossimo.
I big data permettono l’empatia fittizia.
Questo nuovo strumento appare in campo politico
per la prima volta durante le elezioni presidenziali del 2012, vinte da Obama,
definito dal Washington Post: “The Big Data President”. È con le recenti
elezioni presidenziali americane però che ci siamo accorti di quanto siano uno
strumento potente di quanto rendano immensamente influente chiunque sia in
grado di analizzarli e usarli nella maniera giusta. Hilary Clinton secondo i
sondaggi era data per vincente ma in una società in cui l’importante è essere
“connessi”, soprattutto se lavori in politica, i Big data hanno regalato la
vittoria a Trump.
Si è gridato allo scandalo e all’assurdo, lo sbigottimento
e l’incredulità generale di fronte ai risultati definitivi delle elezioni erano
tangibili.
Trump è riuscito a creare un legame empatico
più profondo con l’elettorato, è riuscito a creare consenso attorno alla sua persona accorciando le distanze con
il popolo, utilizzando il suo linguaggio e simulando una vicinanza quasi
paradossale. Un imprenditore miliardario nelle vesti di un salvatore della
patria, attento agli ultimi e alla salute della propria Nazione sembra una
storia poco credibile, eppure è ciò di cui il popolo, con le sue difficoltà
economiche, e con la discutibile preparazione aveva bisogno. Trump semplicemente
trasmette una sicurezza che nè Hilary nè Sanders trasmettevano, a lui vanno
tutti i meriti della maestria e dell’arroganza degni di un leader che ha scelto
di propria mano chi guidare, o meglio, che ha creato lui stesso il proprio seguito.
L’analisi dei sovra citati Big data, l’utilizzo
delle fake news e la denigrazione dei propri rivali sono state le sue armi e sono
risultate vincenti.
Demonizzare gli avversari utilizzando i 140
caratteri di twitter inventando o sfruttando bufale preconfezionate da terzi si
è dimostrata la strategia vincente, incitare alla disuguaglianza, alla
misoginia e al classismo si è dimostrata una strategia vincente, se fatto in
tono goliardico e scherzoso, e se nel mentre si prendono accordi con la Russia
al popolo poco importa. Il popolo, come sempre è alla ricerca di una guida
forte, o almeno che si finga tale. Il popolo vuole sentirsi al sicuro, cerca
empatia con chi lo guida, cerca consenso nel proprio leader, anche se fittizio.
Tutto questo merita un’analisi: è dunque il
consenso ancora manipolazione?
Poggia ancora le sue fondamenta sulla
denigrazione quasi goliardica dei propri competitors invece che sul confronto
onesto e leale? È il popolo ancora solamente uno strumento per il potere?
Se realmente la realtà è questa è il caso di
dire che le belle favole non esistono, che il più furbo vince sempre, a patto
che dia una parvenza di sicurezza agli umili. Infine credo sia il momento di
dimenticarsi della favola di Robin Hood, di chiuderne il libro e di metterlo in
un cassetto.
Jacopo Gobbo