Guido Colomba
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Per i crediti
deteriorati (NPL) il tempo è scaduto. Per molti motivi. I tassi tornano a
salire (insieme all'inflazione prossima al due per cento) e l'avversione al
rischio aumenta. Inoltre, la fine del QE già iniziata dalla Fed e in arrivo
tra sei mesi anche in Europa, non consente altri ritardi. Sta di fatto che
dopo il maxi aumento di capitale di Unicredit, anche Intesa-SanPaolo si
appresta a ridurre di circa 15 miliardi lo stock di crediti deteriorati. Sul
piatto della decisione, vi è anche la necessità di raggiungere un modello di
banca che affronti sia la disintermediazione in atto sia il sopraggiungere di
una massiccia concorrenza esterna sui sistemi di pagamento. La rivoluzione
digitale, guidata dai big della California, sta togliendo il tappeto sotto i
piedi del sistema bancario. Un problema mondiale che, in Europa e in Italia,
proietta drastici tagli di personale. Qui, la ricerca di uno sviluppo
sostenibile diviene veramente complesso. Una situazione che sta dando uno
spazio gigantesco ai Fondi esteri. Sono loro, di fatto, che si stanno
comprando mezza Europa e trovano praterie aperte in Italia. Il gruppo Intesa
si appresta a varare un piano triennale che prevede innanzitutto di abbattere
dal 14,7% al 10,5% la quota dei crediti deteriorati lordi sullo stock degli
impieghi. Le cifre sono imponenti. Attualmente lo stock dei crediti
deteriorati di banca Intesa a fine 2016 è pari a 58,1 miliardi il cui valore
netto è di 29,8 miliardi. Nell'eurozona il totale dei crediti deteriorati è
pari a circa 900 miliardi, cioè il 6,6% delle esposizioni totali mentre al
netto degli accantonamenti sono pari al 3,6%. Negli Usa la situazione degli
istituti di credito è nettamente migliore tanto che si chiede all'Europa di
migliorare lo status patrimoniale. Le banche italiane sono nettamente (78
miliardi di NPL) al di sopra delle medie internazionali (sia europee che
Usa). Ulteriori rinvii non sono concessi. Manca tuttora un mercato delle
cartolarizzazioni, uno degli strumenti indispensabili per il progressivo
smaltimento delle sofferenze bancarie. Se ne parla da oltre tre anni ma non
sembra che il Tesoro o la Banca
d’Italia abbiano capacità organizzative o promozionali per intraprendere
questa strada. Come sempre il problema è di passare dalle parole ai fatti. Il
caso Atlante-1 e Atlante-2 ha
fatto scuola. Le aziende di credito hanno “contribuito” per oltre un miliardo
di euro al salvataggio delle banche in pericolo. Eppure Bce e Commissione Ue
non danno semaforo verde tanto che Intesa San Paolo ha dichiarato che “non
aggiungerà altri fondi in Atlante rispetto a quelli già versati”. Un
messaggio che sancisce il fallimento della strategia soft adottata da Padoan
(ex Ocse e Fmi) dal 2004 ad oggi. Il permanere delle crisi bancarie contrasta
con i 1960 miliardi (a fine febbraio) investiti dagli italiani nelle reti di
vendita dove le prime tre posizioni sono occupate da Black Rock, JP Morgan e
Fidelity. L’ennesima conferma che il risparmio degli italiani viene, in netta
prevalenza, collocato all’estero accentuando la crisi competitiva
dell’economia italiana.
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News and comments from the Capital of the United States (and other places in the World) in English and Italian. Video, pictures, Music (pop and classic). Premio internazionale "Amerigo".