Cristina Raniolo (MICRI 9)
“Non siamo macchine
pensanti che si emozionano bensì macchine emotive che pensano” Antonio Damasio.
Tale affermazione, espressione
del principio fondante del neuromarketing,
è stata elaborata nel 1994 al fine di descrivere il consumatore e il suo
rapporto con le scelte d’acquisto. Con il passar del tempo, si è sempre più affermata
la consapevolezza che l’individuo effettua delle scelte sulla base di attimi,
momenti e istinti che si scatenano in un determinato momento. Circa il 95%
delle scelte che prendiamo ogni giorno sono irrazionali e illogiche[1] e sicuramente ne consegue che il concetto di
“coerenza” necessita di parametri relativi all’interno dei quali va
contestualizzata.
L’affermazione del dott.
Damasio, seppur applicata al mondo economico, apre indubbiamente un varco
sull’approccio che oggi strateghi del marketing
e politici adottano nei confronti dell’elettorato al fine di generare consenso
nei confronti delle scelte politiche adottate.
Donald Trump
espressione di arroganza e supponenza, oggi diviene il leader di uno degli Stati più potenti al mondo, proprio grazie all’applicazione
di questo metodo: portavoce del malumore generale, interpreta il senso di
rabbia largamente condiviso negli Stati Uniti e ne fa il proprio stendardo. Nessuno
si chiede se sia in grado di guidare la nazione o se tanta ubris non sarà controproduttiva nei confronti dell’economia di
Stato, semplicemente si accetta tacitamente che lui, più di chiunque altro, sia
stato in grado di rompere i vecchi schemi dando voce al pensiero comune.
Dunque cosa occorre per
generare consenso? L’ovvietà.
Che sia politica,
economia, relazioni interpersonali o rapporto con i media, quello che la gente
vuole è un canale diretto sui propri sentimenti, che si dica ciò che ci si
aspetta, senza lungimiranza, che si generino sentimenti di solidarietà e
comprensione al di là della razionalità con cui determinate riflessioni vengono
effettuate.
Non è forse questo
quello che il mondo cerca? Comprensione, fame implacabile di familiarità,
accettazione costante del proprio pensiero per quanto irrazionale sia. Non
cerchiamo forse il lieto fine nel film, la prevedibilità nel racconto e la
conclusione romantica nella melodia?
In un’epoca in cui le
“esperienze intangibili” contano più di qualsiasi altra cosa e la condivisione
di una sensazione diventa essenziale per generare comunione sociale, i social media diventano il mezzo più
appropriato per veicolare questa instabilità emotiva, accorciando le distanze
tra dimensioni, ruoli, persone.
Trump, utilizzando
Twitter è stato in grado di dominare la scena politica sin dall’inizio,
alimentando sentimenti di diffidenza nei confronti degli avversari politici, i
quali meno abili chiaramente nell’uso dei social,
non sono stati in grado di sostenere la competizione. Utilizzando frasi ai
limiti del politically correct, è
stato in grado di influenzare gli umori dell’elettorato e determinare il
proprio successo.
Purtroppo, benché Trump
sia indubbio interprete di un’epoca, quella dei sentimenti, il fenomeno è
dilagante.
Si verifica un uso non
controllato e spasmodico dei social
al fine di diffondere informazioni non veritiere o altrimenti definite post-truth, perché l’elettorato poco
accorto subisce le informazioni senza apporre filtri razionali nell’apprensione
delle notizie.
Per controllare la
manipolazione di fake news in Europa
è stato approvato il rapporto “Media
online e giornalismo: sfide e responsabilità”. Il report è stato creato al
fine di effettuare un capillare controllo sulle notizie che vengono prodotte
nel mondo del web e volte a fuorviare
la conoscenza relativa a una determinata tematica, soprattutto in un contesto
come quello attuale in cui le (dis)informazioni circolano a velocità
rapidissime.
Anche in Russia, al
fine di controllare le fake news è
stata creata una rubrica all’interno del sito del Ministero degli Esteri, per
indicare gli articoli definiti falsi, appunto. Tuttavia il governo stesso è
stato accusato di creare fake news al
solo scopo di generare incertezza politica e condizionare l’elettorato europeo.
E una task force (East StratCom)
da parte dell’Unione Europea è stata predisposta per vagliare la situazione.
In Gran Bretagna
addirittura l’uso incontrollato di notizie false ha reso concreta l’esperienza “Brexit”.
Il partito del Leave ha infatti
utilizzato tra le argomentazioni principali per determinare la propria vittoria:
l’allarme immigrazione, condiviso da gran parte degli Stati europei ma non direttamente
collegato alla Gran Bretagna (la quale non ha firmato il Trattato di Schengen)
e l’ingresso della Turchia all’interno dell’Unione Europea, i cui accordi si
sono arrestati da diverso tempo.
In un simile marasma
cosa accade quando a generare fake news
è un leader politico, proprio colui
il quale dovrebbe garantire la tutela e la salvaguardia della buona
informazione?
Purtroppo lo scopriremo
tardi, quando il “maschio avrà già sopraffatto l’uomo”[2].