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Il problema del debito pubblico


                          
                                                     Guido Colomba
L'analisi di Paolo Savona sul rischio di una "colonizzazione" della politica e della economia. Per alimentare la crescita occorre il lavoro dei giovani ma ciò richiede programmi di lungo periodo

La ripresa economica è più solida del previsto come testimonia il nuovo record della Borsa di Milano (Mib30 sopra i 22mila punti). L'ottimismo sul trend di ripresa ha riaperto il dibattito sugli effetti dell'euro a quota 1,20 sul dollaro (+14% da inizio anno e + 6% su scala globale), sulla sostenibilità del debito pubblico giunto a 2280 miliardi di euro e sul basso numero di laureati proprio mentre si cerca di rilanciare l'occupazione giovanile. L'economista Paolo Savona sul debito, oggetto di "una disputa irrisolvibile tra economisti", sottolinea (re: Il Sole 7-09-17) che "non solo vincola l'azione della politica economica ma espone il Paese agli attacchi della speculazione internazionale aprendo la strada a una colonizzazione della nostra politica e della nostra economia. Grecia docet". Sotto traccia si può fare riferimento ai contratti sui derivati (146mila miliardi di nozionale) che il Tesoro italiano continua a comprare con un onere complessivo dal 2011 ad oggi stimato in 23 miliardi di euro. Una cifra molto vicina al "risparmio" sul debito ricavato dai bassi tassi di interesse promossi dalla Bce "a ruota" della Fed. E ricorda come Carlo Azeglio Ciampi, capo del governo, chiese invano (il Parlamento si rifiutò) una legge che mettesse in stretto collegamento gli incassi delle privatizzazioni con il rimborso del debito. Vi sono poi le proposte tecniche. Sempre Savona, nel 2011, insieme a Fratianni e Rinaldi, propose "un warrant negoziabile" che dava diritto all'acquisto in quota parte di "bene pubblico dismesso". Vi sono poi, secondo Savona, i "tassatori seriali", come Giuliano Amato, Andrea Monorchio e Guido Salerno, con versioni che prevedevano la tassazione della ricchezza degli italiani. Ora, Savona offre due soluzioni. (a) Fondo europeo che gestisca gli eccessi di debito rispetto al parametro del 60% (con tassi ufficiali senza spread a lungo termine). (b) Conversione nazionale del debito- sempre oltre il 60%- alllungando le scadenze, tassi pari all'inflazione e garanzia su tutti i beni dello Stato escutibili con procedure rapide. Una soluzione percorribile tenuto conto dell'alto livello di risparmio degli italiani. C'è il tallone di Achille. Tali programma necessitano di una crescita del Pil altrimenti si bloccano, nel contesto regolatorio europeo, gli investimenti sia strutturali che di welfare. La politica italiana è in grado di varare programmi di lungo periodo? E' urgente il "lavoro" dei giovani senza ricorrere al gigantismo a basso prezzo del precariato senza welfare (i contributi pensionistici dovrebbero essere inversamente proporzionali all'età:quasi nulle per i più giovani ma crescenti negli anni). Purtroppo manca da una generazione il diritto al lavoro (la disoccupazione dei giovani supera il 30%) anche per "colpa della pessima qualità media della didattica nelle università italiane" (re: Abravanel, Corriere della Sera 11 sett.) tanto che il diploma di laurea ha perso ogni significato per le imprese italiane. Queste ultime, per l'80% dei laureati, sanno benissimo come stanno le cose e si rivolgono alle dieci università eccellenti esistenti in Italia. Ciò vale anche per le facoltà di ingegneria. E' curioso come la macroeconomia sia tornata di grande attualità in questa congiuntura. La possibilità di produrre innovazione nell'ambito di industria 4,0, al fine di mettere in sintonia laureati e imprese, deve essere il criterio prioritario per le università anche in tema di finanziamento pubblico. Il governo è chiamato, insieme ad una politica attiva del lavoro, a lanciare un massiccio programma di borse di studio per i più meritevoli e per le famiglie più povere. Altrimenti si verifica l'assurdo che i meno abbienti, scoraggiati ad investire in anni di studio (la laurea breve è stato un flop), finiscono per finanziare con le proprie tasse le lauree dei figli dei ricchi. I dati Istat confermano queste riflessioni. Il terzo aspetto, quello valutario, si lega a questo tema poichè ripropone l'esigenza di una produttività del lavoro in linea con la media europea. Nel breve le imprese italiane, protagoniste del boom delle esportazioni, non temono il rialzo del dollaro proprio perchè hanno margini di qualità e di eccellenza ben noti nel mondo. Ma la rivoluzione digitale non consente soste. La risorsa umana qualificata per crescere nella produttività, può venire solo dai giovani. 
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Caro Guido,
Abbiamo aumentato l'occupazione (si fa per dire) con minimo aumento del reddito. Ciò significa che abbiamo inciso negativamente sulla produttività. I nostri prodotti diventano meno competitivi rispetto ai paesi concorrenti.
Abbiamo sostenuto la spesa pubblica corrente.
Abbiamo penalizzato gli investimenti pubblici, ma poco male: se le opere pubbliche sono il seppellimento di fiumi e torrenti che poi esplodono, la costruzione di strade e autostrade (Salerno-Reggio e Sicilia) che poi franano, ponti inutili a Roma, o torri di Calatrava abbandonate.
La vera riforma di cui abbiamo bisogno è la riforma dell'insegnamento scolastico, che faccia capire fin da bambini che le democrazie basare sul consenso necessitano dello "stato minimo", per evitare di essere ingabbiate dal parassitismo della pubblica amministrazione. Finché le nostre scuole licenzieranno giovani imbottiti di storicismo, benecomunismo e idolatria di tutto ciò   che è pubblico non ci sarà speranza.
Non abbiamo bisogno di macroeconomia ma di rinnovamento culturale (es. leggere Nozick).
 
Cesare Giussani