Alberto
Pasolini Zanelli
Ci si aspettava
che Donald Trump debuttasse come oratore all’Onu parlando soprattutto della
Corea del Nord e in termini inevitabilmente duri. Invece il presidente Usa ha
parlato soprattutto dell’America e dei suoi nemici, inclusa naturalmente la
Corea del Nord ma non come eccezione malata in un angolo del mondo, bensì della
posizione e del ruolo dell’America nel mondo. E in quella che dovrebbe essere
la culla della pace ha parlato soprattutto di guerra e quindi ha distribuito
rampogne, moniti, scomuniche e ultimatum a un po’ tutti gli altri Paesi della
Terra, dipingendo la situazione mondiale di oggi, minacciata innegabilmente
soprattutto dal dittatore pazzo di un piccolo Paese, in termini che negano e
quasi cancellano tutti i frutti della leadership americana sul pianeta, incluso
il tramonto della Guerra Fredda e quella che dovrebbe essere l’apertura di una
nuova era. Queste le impressioni e le reazioni un po’ ovunque, a cominciare
dall’America stessa, che vede in pericolo le basi stesse della sua leadership
dopo la Seconda guerra mondiale, leadership coronata dalla fine vittoriosa
della Guerra Fredda.
Quello che Trump
ha detto nel suo discorso si può riassumere, volendo, in poche righe. Esso è
stato centrato sulle follie del dittatore di Pyongyang e sui pericoli reali che
egli vorrebbe rimettere in circolazione; ma ha dipinto il pianeta come se fosse
caratterizzato proprio da Kim Jong-un e quindi sull’orlo di una guerra
generale. Come se Trump prendesse alla lettera le farneticazioni paranoiche di
quel capo tribù. Kim gli ha fornito di nuovo l’occasione, continuando a parlare
di guerra e di armi nucleari e Trump gli ha risposto su scala planetaria. Si è
sforzato di rilanciare, superandola, la sua minaccia di un paio di settimane
fa, quella contenente la visione apocalittica di fuoco e venti. Ci è riuscito,
minacciandola di “distruzione”. Risposte a una sfida criminale che contraddice
tutti i progressi compiuti dal mondo dopo la Seconda guerra mondiale e
rispondendo più o meno sullo stesso tono. Al punto da diffondere disorientamento
fra i rappresentanti di quasi duecento Paesi riuniti nel palazzo dell’Onu e
dell’opinione pubblica mondiale, compresi i governi alleati e amici.
Le minacce
giustificate a Pyongyang l’uomo della Casa Bianca le ha estese a mezzo mondo, a
cominciare dall’Iran, che è un focolaio di tensioni, ma ha ambizioni anche
avventurose ma limitate a una provincia del mondo e perfino al Venezuela,
travolto dalla povertà in dimensioni con pochi precedenti ma sotto un regime
che è una minaccia per i venezuelani, non per il pianeta. Ha “ignorato” la
Russia. Comprensibilmente dal momento in cui vicende complesse ma non di
portata planetaria forniscono all’opposizione interna occasioni e scuse per
metterlo quotidianamente alla gogna, ha scivolato sulla Cina ma in sostanza ha
pronunciato una condanna globale dello stato attuale dei rapporti
internazionali. Invece di incoraggiamenti e di garanzie di fermezza, Trump ha
suonato un allarme senza precedenti dai giorni peggiori della Guerra Fredda. È
andato all’Onu a bacchettare l’Onu, non solo denunciando le sue tante carenze e
contraddizioni, ma in sostanza bocciandola. Donald Trump ha bocciato il mondo.
Non solo i non pochissimi governi che meritano le sue critiche, ma il pianeta
come è di cui gli Stati Uniti costituiscono praticamente la sola eccezione.
Che Donald Trump
fosse un nazionalista, lo si sapeva da quando egli ha cominciato a parlare di
politica. Tutti i precedenti inquilini della Casa Bianca hanno curato in primo
luogo gli interessi americani, come era loro dovere, ma avevano cercato di garantire
la pace nel mondo con questa forza americana. Usando le poltrone dell’Onu come
foro simbolico. A queste tradizioni Trump contrappone un solo obiettivo, un
solo ideale, una sola parola: “America First”, uno slogan lanciato in quello
che dovrebbe essere il mondo di ieri, una formula escogitata all’alba della
Seconda guerra mondiale dagli isolazionisti. “America First” era un invito agli
Stati Uniti a tenersi fuori dagli affari mondiali, neanche per affrontare
l’onda del totalitarismo nazionalista. “America First” per Trump significa
farsi gli affari propri e che gli altri si arrangino. L’Onu con tutti i suoi
difetti è stata un’invenzione americana: oggi un presidente americano ha
praticamente scomunicato l’Onu. Non si è limitato a rinfacciargli le sue
mancanze, contraddizioni e debolezze, ma ne ha dipinto l’irrilevanza non solo
pratica ma anche “ideologica”. Ha avuto termini spregiativi perfino per la
Nato, presentandone non pregi e difetti ma unicamente i costi e la loro
distribuzione in cui l’America ha certamente pagato un prezzo “sproporzionato”
nel quaderno dei bilanci ma in realtà coerente con il ruolo e il potere di
Washington al suo interno.
Chi ha un po’ di
memoria riconosce i concetti e il linguaggio della campagna elettorale che ha
portato Trump a una vittoria inattesa all’insegna di “America First”. Ma il
foro di ieri non era e non doveva essere una piazza di provincia su cui spandere
emozioni.