Alberto
Pasolini Zanelli
, oppure contiene una striscia argentea di speranza. Sicura è la
direzione Est, dove una volta la minaccia era la Cina di Mao e oggi è la Corea
del Nord di Kim Jong-un. Era gigantesca e oggi, almeno sulla carta geografica,
è molto ridotta. Si assomigliano di più i due dittatori, quello di un tempo e
quello di oggi, ma Mao non fu mai così minaccioso. E, forse, così immediato.
L’America deve per
prima cosa indovinarlo e fino ad oggi non ci è riuscita, oppure non se l’è
sentita. La divisione fra falchi e colombe diventa sempre più netta e dunque
sempre meno consolante. Gli ottimisti si sentono almeno un pochino rassicurati
da alcuni passi dell’ultimo proclama che viene da Pyongyang e che è nel suo
complesso minaccioso. Il motivo di fiducia sta in qualche passaggio che sembra
indicare un invito, certamente brusco, ad aprire, o riaprire, un negoziato,
sulle orme di quello di parecchi anni fa che cucì una rinuncia nordcoreana a un
proseguimento immediato della costruzione dell’arma nucleare in cambio
dell’assenso americano e di molti altri Paesi, a soccorrere l’economia di un
piccolo Paese i cui abitanti stavano soffrendo letteralmente la fame.
In qualche modo
funzionò, ma decadde progressivamente con il miglioramento delle condizioni del
Paese contraente. E adesso è cambiato il rapporto di forze: l’America è sempre
un gigante, la Corea del Nord sempre un pigmeo, però un pigmeo che è riuscito a
darsi l’arma assoluta. È disposto a contrattala un’altra volta ad un prezzo
molto maggiore, oppure le sue minacce derivano dalla convinzione della propria
forza e dell’agibilità di una minaccia alla Superpotenza, se non addirittura un
ultimatum. Il fatto che Kim abbia spedito stavolta un missile ad uso nucleare
ormai in grado di colpire tutto il resto del mondo è un fatto e non una
speranza. Lo ritengono gli addetti ai lavori a Washington.
Non tanto il
presidente Trump, che emette dichiarazioni non univoche quanto i suoi più
diretti collaboratori. Il ministro della Difesa Mattis ripete che la capacità
missilistica nordcoreana si esprime oggi a una “minaccia globale, non solo
all’America ma in tutto il mondo”. In questa situazione non è sufficiente
ripescare la strategia che funzionò bene contro l’Unione Sovietica: la mutua
distruzione assicurata. Erano due grandi potenze, finirono con intendersi non
solo fra Gorbaciov e Reagan ma, a ripensarci, fin dai primissimi anni, quando
al Cremlino sedeva Stalin.
Kim Jong-un è
peggio? Non importerebbe, se non fosse che nessuna delle sue dichiarazioni
rassicura contro l’ipotesi di una seconda guerra di Corea dopo quella degli
anni Cinquanta e può essere invece interpretata come una sfida senza condizioni,
contro la quale si renderebbe necessaria una “guerra preventiva” come
condizione di un fallimento della diplomazia: “Noi non potremmo tollerare che
la Corea del Nord diventasse una minaccia diretta per gli Stati Uniti”. Ne
conviene anche il ministro della Difesa McMaster (“Il presidente è già pronto
ad agire secondo la lezione della Storia. Quando dice di prendere in esame
l’ipotesi di una guerra, va preso sul serio. Il rischio mondiale è cresciuta in
pochi giorni dal 15 ad oltre il 50 per cento). Nuove sanzioni sono all’esame,
ma finora non hanno avuto il successo desiderato pure essendo state inasprite
nove volte dal 2006. Un decimo monito non farà una grande differenza. La
soluzione preferita dagli Stati Uniti – la completa denuclearizzazione degli
Stati Uniti non è plausibile. La nostra strategia di sanzioni economiche non
può avere successo contro un regime aggressivo e isolato, che il passato ha
accettato la morte per fame di uno su dieci dei suoi sudditi pur di continuare
il programma di riarmo. Un attacco preventivo avrebbe conseguenze immaginabili.
Resta l’opzione di un attacco cibernetico accompagnato ad un perfezionamento
del sistema missilistica; ma difficilmente basteranno a convincere Kim a
rinunciare alle sue armi nucleari: probabilmente egli preferirebbe o passare a
una guerra preventiva, non necessariamente atomica, ma capace di obbligare
Trump a passare lui ad azioni militari preventive, del tipo messo in funzione,
sia pure controvoglia, con Paesi come l’Iran, che i missili e le atomiche
ancora non ha, mentre il sistema militare coreano è già in grado di spedire un
missile a tredicimila miglia, mettendo così in pericolo l’intera superficie
degli Stati Uniti. Quello che finora Pyongyang probabilmente non ha è un
dispositivo per evitare la distruzione completa del Paese in conseguenza di
rappresaglie americane.