Puntare sul gas e diversificare le fonti in attesa delle rinnovabili
Dall’Ilva alla Tap – Il prezzo che paghiamo alla politica dei veti
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 17 dicembre 2017
L’allarme per lo scoppio del metanodotto che dall’hub di Baumgarten in Austria porta il gas dalla Russia all’Italia è durato fortunatamente le poche ore che sono state necessarie per ripristinare l’impianto.
Un incidente tutto sommato modesto che ha suscitato tuttavia polemiche feroci di carattere per lo più strumentali ma che, in ogni caso, ci obbliga a riflettere sulla vulnerabilità del nostro sistema energetico dipendente per l’insieme delle fonti per oltre il 75% dalle importazioni ma nel caso del metano per oltre il 90%, contro una media europea del 70%.
A sua volta il gas naturale copre intorno al 35% del nostro fabbisogno energetico. Una quota che si colloca al di sopra della media degli altri paesi sia per l’assenza di centrali nucleari che per la capillare rete di metanodotti che, a partire dell’immediato dopoguerra, si è progressivamente estesa alla quasi totalità del paese. Nonostante gli enormi incentivi ricevuti il contributo delle nuove rinnovabili (pur collocandoci tra i paesi più virtuosi in questo campo) resta infatti marginale e resterà minoritario per ancora molti anni.
Andremo quindi ancora a gas per un lungo periodo di tempo. Questa risorsa fondamentale ci arriva per oltre il 40% dalla Russia e per il 27% dall’Algeria, mentre la quota fornita dalla Norvegia, attraverso l’Olanda, è già al di sotto del 10% ed è in continua diminuzione. Minori arrivi dalla Libia, un paio di impianti di rigassificazione e la decrescente produzione interna – nonostante la possibilità di aumentarla in modo consistente – provvedono al resto della domanda.
Dipendiamo quindi soprattutto ( e sempre di più ) dalla Russia che non solo è il nostro maggior fornitore ma lo sarà anche in futuro, date le sue enormi riserve e la rete di metanodotti che, dalla Siberia, arriva a noi attraverso l’Ucraina, la Slovacchia e l’Austria.
Se il guasto austriaco si fosse prolungato a lungo avremmo certamente avuto seri problemi, soprattutto in questa stagione, all’inizio dell’inverno ed in un periodo particolarmente freddo. Il pericolo ai nostri rifornimenti non deriva tuttavia da eventuali incidenti tecnici, in genere di breve durata e ai quali fanno facilmente fronte i robusti stoccaggi che, più che nella maggior parte degli altri paesi, sono prudentemente immagazzinati nei nostri giacimenti esauriti. Al momento dell’incidente potevamo contare su 17 miliardi di metri cubi di scorta su un totale di 70 miliardi di consumo annuale. Possiamo essere quindi abbastanza tranquilli di fronte a incidenti di breve durata ma non certo a possibili tensioni politiche o alla necessità di un completo rifacimento di interi gasdotti.
Il problema della diversificazione delle fonti di approvvigionamento si ripropone quindi come assolutamente primario. L’obiettivo sarebbe a portata di mano se fosse messa in atto una politica energetica effettivamente europea fondata sulla diversificazione e sulla messa in comune, in uno spirito di solidarietà, delle infrastrutture esistenti. Solo per fare un esempio, la Spagna possiede già oggi la maggior capacità di rigassificazione europea, superiore ai 60 miliardi mc, utilizzata solo per meno del 20% ma sinora indisponibile ai partners europei per la mancata realizzazione di un gasdotto che veicoli il gas attraverso la Francia, che ora dovrebbe essere realizzato dalla nostra Snam.
Un livello minimo di prudenza, almeno per i lunghi anni che ci separano da un’adeguata diffusione delle energie rinnovabili, ci obbliga quindi a diversificare maggiormente le fonti di provenienza del gas, con una particolare attenzione agli arrivi nel sud del Paese, in coerenza con la decisione politica da tutti condivisa di fare del Mezzogiorno il punto d’approdo delle risorse energetiche aggiuntive.
Un gasdotto (chiamato TAP, Trans Adriatic Pipeline) che dal Caspio, dall’Azerbaijan, deve arrivare in Puglia è la proposta più concreta e ravvicinata di cui disponiamo. Ormai in avanzata fase di costruzione negli altri paesi di transito, il gasdotto è progettato per portare poco meno di dieci miliardi di metri cubi di gas all’anno, che possono essere raddoppiati in caso di un adeguato aumento della domanda. Si tratta di un investimento sostenuto da capitale interamente privato, passato attraverso il vaglio di infiniti processi di approvazione da parte di tutte le autorità nazionali ma che trova ormai da anni un’opposizione locale alimentata da spinte irrazionali che non hanno alcun riscontro con la realtà e che sono state volutamente alimentate in occasione dell’incidente avvenuto in Austria. Tutto questo nonostante il fatto che da molti decenni abbiamo nel nostro paese migliaia di chilometri di metanodotti ai quali il TAP si allaccerà appena arrivato sulle coste pugliesi. Una rete di metanodotti che ha dimostrato parametri di sicurezza e modalità di rispetto dell’ambiente che non hanno confronto con nessun altro sistema di rifornimento energetico.
A questo si aggiunge il fatto che gli anni di dissennata contestazione hanno contribuito a diffondere all’estero l’idea che in Italia, ma soprattutto nel mezzogiorno, non sia possibile fare nulla. Credo che sia ora di dimostrare che questo non è vero, nel rispetto di tutte le regole e di tutte le garanzie.