Translate

Una campagna elettorale così non si era mai vista nella storia americana.


Una campagna elettorale così non si era mai vista nella storia americana. Con l’eccezione, evidente, di quella del 1860, che aprì la strada alla guerra fra Nord e Sud. Quella, però, era una elezione presidenziale. Questa volta siamo in una specie di serie B, che si chiama “di medio termine”. Il 6 novembre, infatti, l’uomo della Casa Bianca non è tra i candidati. Si dovranno eleggere, però, un terzo dei senatori e l’intera Camera e quest’anno la tensione politica e ideologica è particolarmente elevata.
Questa è una delle spiegazioni avanzate per le cose strane che stanno succedendo. Strane e senza precedenti. Continuano a partire missili incendiari all’indirizzo di uomini politici importanti e di altri quasi egualmente famosi. In questo momento ne sono già atterrati nove, fra cui un ex presidente (Obama), la moglie di un ex presidente (Hillary Clinton) che è stata anche Segretario di Stato, il famoso miliardario George Soros, uno dei massimi finanziatori del Partito democratico, alcuni deputati della stessa parte politica, un ex direttore della Cia, un ex ministro della Giustizia. Nessun obiettivo è stato finora colpito, ma attira la massima attenzione il fatto che tutti i destinatari degli attentati sono dell’area del Partito democratico, che è impegnato in una rovente fase finale della campagna elettorale, condotta o guidata personalmente (e anche questo è senza precedenti) dal presidente in carica Donald Trump, che fa discorsi un po’ in tutta l’America, contrassegnati da un linguaggio di una aggressività senza precedenti da parte di un presidente in carica (ha definito i democratici “forze del male”, affermando che per questo motivo “sono troppo pericolosi per governare”. Ai suoi comizi gli ascoltatori accompagnano i cori di voci come “In galera!” dedicato a Hillary Clinton) e che quindi è bersagliata ora a sua volta – ma solo a parole – da tutti gli oratori in qualche modo legati all’opposizione.
Gli argomenti sarebbero tanti, ma gli attacchi (e quindi le sue risposte) si concentrano su temi “culturali” dalla politica estera alle tensioni razziali, in termini anche da questa parte senza precedenti ma non ancora all’altezza e con un lessico anch’esso senza precedenti dagli altoparlanti della Casa Bianca. La polizia e gli uffici antispionaggio, naturalmente, ricercano i “lanciatori”, che finora non hanno colpito il bersaglio e forse non hanno mai inteso farlo, almeno sul piano personale. È verosimile, invece, che un paio di estremisti non molto equilibrati di cervello intendano colpire rappresentanze illustri del Partito democratico e dell’area culturale “progressista”, che anch’essa scarica accuse contro Trump, ma finora esclusivamente verbali.
Il presidente è però impegnato su due fronti e la seconda “guerra” l’ha scatenata lui e ha un avversario straniero e non domestico. Si tratta della Russia sul tema niente meno degli armamenti nucleari. In questo caso è stato Trump ad attaccare con una scelta sonora e grave: l’annuncio che gli Stati Uniti si apprestano a ritirarsi dal trattato che limita e in gran parte blocca la costruzione (oltre che l’uso) dei missili nucleari. Una scelta che equivale alla cancellazione del più famoso trattato della storia moderna e comunque del dopoguerra: quel famoso accordo firmato a Reykjavik da Ronald Reagan e da Mikhail Gorbaciov e in vigore da più di trent’anni. Fu questo accordo, raggiunto in un momento di massima tensione tra le due superpotenze, a porre fine alla Guerra Fredda e ad aprire un’epoca nuova nella storia, quella della collaborazione o almeno reciproca tolleranza fra Mosca e Washington. Dei due firmatari Reagan è defunto da parecchi anni, Gorbaciov è ancora vivo, in cattive condizioni di salute e il suo attuale successore è Vladimir Putin, i cui rapporti con l’America si sono andati continuamente deteriorando da più di dieci anni in modo da far rinascere la reciproca ostilità.
Uno dei momenti d’oro di queste relazioni fu probabilmente quando furono installati osservatori davanti ai cancelli delle fabbriche di missili nucleari, russi in America e americani in Russia. L’atmosfera da allora è molto cambiata, soprattutto da parte dell’attuale presidente Usa, che ancora l’altro giorno si è definito “nazionalista” in un discorso pubblico e ha spedito a Mosca John Bolton, il più famoso “falco” d’America. Alle elezioni mancano meno di due settimane, estremamente impegnative per la Casa Bianca. Come se queste due crisi non bastassero, sono in arrivo a piedi dall’America Centrale delle carovane di emigranti, che in questo momento stanno attraversando a piedi il Messico.

Alberto Pasolini Zanelli
Pasolini.zanelli@gmail.com