Alberto Pasolini Zanelli
Una delle curiosità del momento è
tirare a indovinare dove sia oggi un pezzo di carta (vera o elettronica) che
contiene o sintetizza una proposta che il presidente russo Vladimir Putin ha
indirizzato al collega americano Trump. Ci si chiede se si trovi in questo
momento su un tavolo oppure dentro un cassetto. Saperlo equivarrebbe ad avere
una prima risposta simbolica. Il messaggio è stato certamente già letto da più
di un consigliere dell’uomo della Casa Bianca, che non risulta abbia finora risposto.
Non è un documento polemico bensì, al contrario, una non troppo modesta
proposta: prorogare la validità del documento che suggeriva la scadenza di uno
degli storici accordi miranti a bloccare o almeno molto rallentare lo sviluppo
dell’arma nucleare. Lo firmarono, due presidenti molto diversi dai loro successori
odierni: per l’America Ronald Reagan, per quella che allora si chiamava ancora
Unione Sovietica, Mikhail Gorbaciov. Era uno stop che il mondo aveva desiderato,
implorato, aspettato senza troppo crederci che metteva fine alla corsa al
nucleare. Non proprio un divieto senza limiti ma uno scambio di impegni: le
atomiche già presenti con abbondanza nei “depositi” delle superpotenze che
dovevano praticamente smettere di moltiplicare, soprattutto il modello allora
presente che si distingueva da quelli già passati di moda, ma dovevano
rallentare e ostacolare la produzione di missili e testate ancora più potenti e
a più largo raggio. Era la conseguenza, la conclusione di un dialogo considerato
impensabile dai predecessori e aperto molto probabilmente da un paio di idee elaborare
alla Casa Bianca, messe sul tavolo in occasione dello storico summit di Reykjavik
e messo subito in funzione. Per anni, senza che se ne parlasse troppo, russi e
americani avevano esercitato entrambi un nuovo “diritto”: mettere il naso nei
segreti nucleari di quello che stava forse per diventare un partner. Era l’impegno
a “smontare” a poco a poco gli ordigni nucleari esistenti e tenere un occhio
ciascuno sui nuovi modelli che erano frutto dei perfezionamenti scientifici. Anche
con uno scambio di gesti di alto valore simbolico. Un esperto americano si era
appostato all’uscita di una fabbrica di missili russi, per controllare se non
fossero “fuori” come cilindrata. E naturalmente c’era anche il controllore russo,
insediato quello subito fuori dai cancelli di una fabbrica insediata e attiva
proprio nel luogo da cui era nata la prima bomba atomica della storia. Una
rapida occhiata se ci fosse qualcosa di nuovo e altrimenti un ok veloce e quasi
amichevole. Qualcuno pensava, almeno nella prima fase dell’esperimento, che l’idea
fosse venuta quasi contemporaneamente a Gorbaciov e a Reagan, con le debite precauzioni.
Un pezzo di carta in un cassetto,
ma un impegno meno locale e molto più intimo. Il giorno del funerale di Reagan,
la bara e il suo contenuto erano stati oggetto degli onori dovuti. Quando la
cerimonia si concluse, la folla si diradò attorno al feretro. Rimasero in due:
la vedova e il concorrente di armi e di pace. Posarono entrambi le mani sulla
cassa, poi si guardarono: Nancy Reagan aveva le lacrime agli occhi, ma le aveva
anche Mikhail Gorbaciov. Lo scambio di occhiate degli anni successivi non era
soltanto di controllo ma anche un gesto di fiducia, un indice di durata. Anche quando
si parlavano meno di denuclearizzazione e si offrivano altri gesti. L’ultima
visita a Mosca di Reagan presidente coincise con il rientro del primo
contingente di soldati e armi russe dall’Afghanistan.
Che oggi difficilmente si
ripeterebbe, anche perché a Kabul e dintorni sono stanziati soldati americani. Gorbaciov
è da tempo lontano da ogni forma di potere, il suo successore non potrebbe
essere più diverso. Reagan di successori ne ha avuti più d’uno, non tutti
definibili eredi. Ciò non esclude che Trump e Putin trovino tutti d’accordo, ma
sono molto diversi dai predecessori. Si occupano di versioni nuove di armi
nucleari e di nuovi “clienti”, soprattutto l’americano impegnato in una
campagna elettorale condotta digrignando i denti. Quel messaggio, allora, è più
probabile che sia in fondo ad un cassetto che non su un tavolo.