Translate

Poteva, essere il giorno decisivo



Assessing the case made by Democrats in the articles of impeachment

Alberto Pasolini Zanelli

Doveva, o almeno poteva, essere il giorno decisivo per la politica americana. Ed è stato puntuale, ma non decisivo. È andato da un lato tutto come era previsto, ma la previsione più frequente era quella che nulla sarebbe stato realmente deciso. Entrambe le parti escono da una battaglia quasi senza precedenti per la sua asprezza e faziosità da ambo le parti con il verdetto parziale e previsto: Trump sarà processato alla fine dell’impeachment su due capi di accusa, gravi e importanti ma che lasciano spazio e soprattutto tempo per controffensive basate su dettagli. La Camera, come era previsto dal momento che è a maggioranza democratica, presenta al “tribunale” due capi d’accusa sui sette possibili, ma sono i più importanti. L’attuale inquilino della Casa Bianca dovrà rispondere di due reati: menzogna e violazione della Costituzione. Le due accuse più gravi ma anche più difficili da provare fino in fondo, soprattutto di fronte a una “giuria” di parte opposta a quella che ha emesso la “sentenza” di ieri: un Senato a maggioranza repubblicana e compatto attorno al presidente in una misura senza precedenti, in armonia con alcuni dei ministri. La maggioranza è dall’altra parte, richiede e conferma la colpevolezza dell’imputato, ma su quei due reati, che sono i principali ma aprono la strada a un’opposizione già decisa a usare i metodi dell’ostruzionismo. Per questo motivo, anche se l’esito globale di ieri era previsto, Trump ha scelto una reazione nel suo stile: aspra, intransigente, offensiva oltre che controffensiva. Ha parlato, come è sua abitudine, da pubblico ministero e non da imputato. Un commentatore ha definito la situazione, sul piano psicologico più che legale, di battaglia in cui la vera giuria potrà essere, anzi molto probabilmente sarà, il corpo elettorale e non le istituzioni.

Lo ha ammesso anche il principale esponente del Partito democratico, la presidente della Camera Nancy Pelosi, che in una allocuzione televisiva ha cercato di chiarire alcuni punti in sé chiari, ma soprattutto di portare avanti un contrattacco al contrattacco guidato da Trump e condotto dai repubblicani senza risparmio. A decidere dunque saranno gli elettori fra quasi un anno, il 2 novembre del 2020.

Per adesso parlano i sondaggi, sempre più fitti e sempre più inquietanti per le contraddizioni fra un test e l’altro. Ne sono stati emessi tre in poche ore, anzi mentre il dibattito alla Camera era ancora in corso, ma i due capi d’accusa erano già stati siglati. Indicazioni contraddittorie in diversi sensi: la presentazione dell’impeachment e le prime fasi del dibattito hanno fatto cambiare idea a ben pochi americani. Alla domanda se Donald Trump “merita di essere rieletto”, la risposta è negativa: 54 per cento dicono che non merita, 43 per cento pensa che dopotutto dovrebbe e potrebbe farcela. Ma a una domanda diversamente formulata, circa la credibilità e le dimensioni delle accuse che gli vengono rivolte, la risposta è anche questa volta un “no” capovolto. Una maggioranza pur ristretta dice che 52 futuri elettori trovano insufficienti i capi d’accusa, non necessariamente ritenendoli falsi, ma “riproporzionandoli”. Trump ha fatto degli sbagli, ma non così gravi da essere cacciato dalla Casa Bianca per quei soli motivi. Il terzo sondaggio non è ancora concluso ed è limitato a uno Stato, la Pennsylvania, che però è importante in quanto le sue maggioranze oscillano e possono dare indicazioni sugli umori generali del Paese. Trump potrà trarne un qualche vantaggio per una coincidenza importante: nello stesso giorno in cui lo hanno processato per gravi reati costituzionali, il Congresso ha approvato le sue ultime decisioni in campo economico. I repubblicani in Senato si sentono incoraggiati, i democratici meno. Nessuna delle due forze politiche ha trovato il tempo e la voglia, nelle ultime ore, di reagire alle iniziative che vengono da fuori, ma riguardano soprattutto gli Stati Uniti: il vertice convocato dal presidente francese e che vede riuniti attorno al presidente francese i colleghi britannico e tedesco, ma soprattutto il presidente russo Vladimir Putin. L’argomento è l’Ucraina, le cui vicende costituiscono da tempo il tema dominante nel dibattito politico di Washington.