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L'Avvocato - Elogio della buona educazione


In un mondo (quale quello italiano) caratterizzato dal turpiloquio, dalla violenza verbale, dalla grettezza dialettica, (grazie Sardine per la denuncia) e' tempo di rimembranze alla riscoperta di un personaggio, Gianni Agnelli,  passato a miglior vita dopo una lunga malattia, il 23 gennaio del 2003.

Gianni Agnelli nel bene e nel poco male era un principe rinascimentale. Il popolo sentiva che era diverso, aristocratico, soprattutto educato, rappresentante di un'Italia che riusciva a generare interesse e usciva dal comodo cliche' del mandolino e della pizza.

Chi scrive ha avuto modo di conoscere l'Avvocato che avvocato non era, perche' (come spesso succedeva nelle famiglie agiate) bisognava dare un titolo comunque ai figli che non volevano studiare e che invece si godevano la vita e le ricchezze. Agnelli aveva una stentata laurea in giurisprudenza e basta.

Ma al di là della sua erre moscia e delle impeccabili buone maniere insegnategli dalle numerose nanny che si erano avvicendate durante la sua infanzia e adolescenza, Gianni Agnelli era un uomo di coraggio.

Quando l'Italia è entrata in guerra nel 1940 nel giugno di quell'anno Agnelli fa parte del reggimento corazzato e combatte sui teatri di guerra dell'est Europa.

Da quella esperienza bellica riportò due ferite. Alle quali aggiunse anche il colpo di arma da fuoco sparatogli in un bar da un ufficiale tedesco per colpa di una donna, mentre si trovava nel Nord Africa a prestar servizio nella divisione corazzata, perche' non gli era bastata la Russia.

Al di là di questi suoi eroici precedenti militari, il ricordo dell'Avvocato è per me limitato agli anni della Confindustria quando, come assistente del vicepresidente Luigi Orlando, partecipavo alle riunioni del direttivo della associazione degli imprenditori italiani.

Gianni Agnelli, in uno dei ripetuti gravi momenti di crisi economica dell'Italia, fu tirato per la giacca per ricoprire l'incarico di presidente confindustriale.

Un incarico durato solo due anni (1974-76) quando in una giunta della associazione imprenditoriale tirò fuori dal cilindro il nome di Guido Carli che avrebbe dovuto sostituirlo, in mezzo allo stupore dei presenti.

Come presidente, afflitto da una noia mortale per essere costretto a spendere ore e ore intorno ai tavoli di discussione con i sindacati guidati da Lama, aveva come direttore generale Franco Mattei.
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Gianni Agnelli amava guidare come un pazzo l'auto di servizio divertendosi a 'seminare' dietro la volante dei poliziotti che dovevano salvaguardare la sua incolumità.

Una mattina, con accanto Franco Mattei, si fiondò verso l'aeroporto di Ciampino.

Arrivato in velocità di fronte alla sbarra che il soldato non aveva fatto in tempo ad alzare la investì, mandandola in frantumi e poi si diresse verso il settore dell'aviazione generale dove lo attendeva l'aereo Fiat.

Al suo rientro in serata a Roma gli fecero trovare un'altra 124 special identica a quella che aveva sfasciato in mattinata.

"Vede, caro Mattei, come sono robuste le macchine Fiat. Questa nemmeno un graffio…". Ma sapeva bene che gliel'avevano sostituita in tutta fretta.
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Il consiglio direttivo della Confindustria si teneva al settimo piano del palazzo di viale dell'Astronomia a Roma.

Intorno al lungo tavolo ovale gli imprenditori rappresentanti dei vari settori si affannavano a intorcinarsi in disquisizioni sui problemi economici dell'imprenditoria italiana, cercando di far colpo sull'Avvocato.

L'unico che veramente diceva qualcosa nei suoi interventi era il giovane Carlo de Benedetti.

Agnelli sdraiato nella sua poltrona con accanto Leopoldo Pirelli e Luigi Orlando, sembrava che dormisse.

Salvo poi "risvegliarsi" parlando per non più di 30 secondi e semplificando in maniera esemplare il tema di discussione e le ipotesi di soluzione.

Inutile dire che tutti i componenti della direzione confindustriale si allineavano prontamente a quanto detto dall'Avvocato.
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Ricordiamo con terrore l'assemblea 1975 della Confindustria.

Agnelli al termine si rese disponibile per stringere la mano ai tanti imprenditori presenti.

Aveva sdoganato per l'idioma italiano l'espressione inglese "How are you?", "Come sta?" che per gli anglofoni non significa assolutamente alcunché trattandosi solo di una manifestazione di cortese attenzione.

L'amministratore delegato della società nella quale lavoravo, quando fu il suo turno, si presentò di fronte ad Agnelli, e, sollecitato da quel "come sta?",  cominciò a raccontare tutti i suoi problemi personali mentre visibilmente la faccia della presidente confindustriale si andava marmorizzando.

Rischiai il posto e la carriera trascinandolo via.

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Nel palazzo del viale dell'Astronomia, sede della associazione degli imprenditori italiani, c'era (ma dovrebbe esserci ancora) un ascensore diretto al settimo piano, sede degli uffici della presidenza.

Quella mattina mi sono infilato in quell'ascensore perché dovevo raggiungere l'ufficio del vicepresidente Confindustria per il quale lavoravo come assistente.

Le porte stavano per richiudersi quando qualcuno le ha bloccate per far entrare Gianni Agnelli, che mi ha salutato con un cordiale "Cavo Bavtoli".

Ho premuto il tasto del settimo piano e l'ascensore ha cominciato a salire salvo poi bloccarsi a metà della corsa.

"Proviamo ancora", sospirò il presidente Agnelli e il sottoscritto si affannò a pigiare ripetutamente il maledetto bottone del settimo piano.

A complicare la situazione all'improvviso la lente di sinistra dei miei occhiali si staccò dalla montatura cadendo per terra e lasciandomi praticamente semicieco e imbambolato.

"Cerchiamo di essere tranquilli", disse sommessamente l'Avvocato.

Qualcuno nel frattempo aveva azionato il meccanismo manuale dell'ascensore che arrivò a metà di un piano.

Le porte si aprirono e un mitra era rivolto contro il sottoscritto, mentre l'avvocato veniva prelevato via ascellare da un paio di uomini della sicurezza che poi pensarono a chi scrive.

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Una mattina stavo lavorando nell'ufficio del vicepresidente Orlando e sono uscito per recarmi al bagno.

Dopo aver effettuato le mie pratiche idrauliche sono uscito dal WC e mi stavo avvicinando ad uno dei vari lavelli, quando anche l'Avvocato è apparso dopo aver fatto quello che doveva fare.

"Cavo Bavtoli, come sta?". E mi ha dato la mano senza soffermarsi al lavandino.

Inevitabilmente, mi venne in mente l'episodio del libro Cuore di Edmondo De Amicis quando Coretti dice al figlio di essere orgoglioso di aver potuto stringere la mano del Re che passava in carrozza.

Avrei fatto altrettanto in serata con i miei figli.

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E quella giunta della Confindustria quando per la prima volta Silvio Berlusconi partecipò come imprenditore....

Si aggirava nell'aula, sfoggiando il suo sorriso accattivante, ma nessuno lo curava a cominciare dai tre "aristocratici" dell'imprenditoria italiana: Luigi Orlando, Leopoldo Pirelli, Gianni  Agnelli.

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Passano gli anni.

Come responsabile dei rapporti con i media dell'Iri, accompagno il presidente Romano Prodi al Grand Hotel di Roma dove l'Economist organizza un incontro ad alto livello sull'economia internazionale.

Si è appena conclusa la vicenda Alfa Romeo passata alla Fiat per un niente, grazie alla impudenza della classe politica e sindacale che ha messo nel nulla il contratto tra Alfa Romeo e Ford per il quale era già stata firmata una lettera di intenti a Londra.

Stuoli di giornalisti allertati all'ipotesi di un incontro 'fisico' tra Gianni Agnelli e Romano Prodi dopo la conclusione dell'affare Alfa Romeo.

Infatti i due si incontrano nella hall dell'albergo e l'Avvocato, famoso per le sue battute sferzanti, stringe la mano al presidente dell'Iri e gli dice sorridendo: "Caro Prodi. Lei è la persona che mi è costata di più…" Alludendo evidentemente al recente acquisto dell'Alfa Romeo.

"Non direi proprio, Avvocato…", fu la risposta di Romano Prodi, "Oltretutto le abbiamo dato una super macchina, la 164, che la Fiat non si sognava di avere…"
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Carissimo Oscar,
ti ringrazio per le bellissime parole che hai usato nel descrivere la figura dell’Avvocato: persone così non ne esistono più, soprattutto in grado di avere comunque un atteggiamento estremamente EDUCATO e mai abbandonandosi al turpiloquio nelle sue manifestazioni pubbliche e nelle discussioni con le controparti, qualunque esse fossero.
Condivido tutto quanto hai scritto, tu che hai avuto il piacere di conoscerlo di persona mentre io, pur essendo nato ed abitando nella sua città, ebbi occasione di vederlo in un paio di occasioni pubbliche (saloni auto).
L’ho sempre apprezzato, e ti confesso che piansi alla sua morte, come tanti torinesi che forse non lo amavano ma sentivano una forte simpatia, attrazione e certamente stima per quanto fece per il paese.
Al contrario di quanto adesso accade………….
Grazie davvero, un caloroso e fraterno abbraccio ed un sincero augurio di buone festività natalizie e di fine anno a te ed a tutti i tuoi cari. 
Con la stima di sempre 
Corrado GORIA
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Cavo Bavtoli!
Concordo con te sulle eccezionali qualità dell’Avv. (che anche io allora, come Presidente dei Giovani di Confindustria, ebbi occasione di conoscere), ma su una cosa tutti trascurano di porre l’attenzione, una cosa che poi ha largamente determinato la debolezza cronica delle aziende italiane, e che perdura tuttora.
Nel 1969 la FIAT subì la grande pressione del sindacato dei metalmeccanici, che, giustamente tutelava gli interessi dei lavoratori, stanchi di tanti anni in cui gli unici ad approfittare veramente del boom dell’Italia erano stati gli industriali.
Il contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici, che, mentre avvantaggiava grandi aziende come la FIAT, che avevano la forza di trasferire al mercato gli aumenti di costi che subivano, determinava invece gravi crisi in aziende, come quella di mio padre che aveva 50 dipendenti, e che non potevano obiettivamente fare altrettanto.
Ma vi è di più, quell’accordo fu determinante per portare il Parlamento italiano ad approvare lo Statuto dei Lavoratori, che, assieme a tante norme pur giuste a tutela dei lavoratori, aveva il famoso articolo 18 che determinò il blocco dello sviluppo di aziende, pur valide e ben condotte, che si fermarono alla soglia dei 15 dipendenti. E solo chi allora era sul fronte produttivo dell’Italia può capire quanto ciò blocco lo sviluppo del nostro paese, con conseguenze non solo a livello interno, ma anche sui mercati internazionali dove i più bravi imprenditori italiani si trovano ancora oggi a combattere contro imprese di dimensioni ben diverse. Tanto che spesso diventa più facile vendere l’azienda che supportarne lo sviluppo, o venderne i prodotti.

Ti abbraccio con grande affetto e stima.
Tuo 
Fernando  F.

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Preferisco l'Ing. Adriano Olivetti!
Armando Stavole, Ret. Col.
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Oscar,

una bella storia hai raccontato. Sono d'accordo con te. L'Avvocato e' stato un grande uomo,Italiano super e un vero signore anche se un po' stravagante.

Grazie della tua pagina.

Buon Natale e sereno 2020.

Gabriele Micara