La Libia non ha futuro senza un patto Italia-Francia
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 22 dicembre 2019
Nella mente di coloro che l’hanno iniziata, la guerra di Libia doveva essere un’impresa semplice e breve. Invece non solo essa insanguina il paese da otto anni, ma ha progressivamente coinvolto un crescente numero di protagonisti esterni.
I paesi che avevano iniziato il conflitto non hanno infatti perseguito il doveroso compito di aiutare la ricomposizione della Libia attraverso il dialogo fra le tribù e le forze locali, ma hanno addirittura contribuito ad accendere nuove tensioni al loro interno. In un paese così frammentato, una strategia volta alla riconciliazione sarebbe stata l’unico strumento capace di porre termine alla guerra e di preparare la rinascita della Libia.
Si è invece andati in direzione opposta: da subito è infatti cominciata la gara per tessere, con i vari centri di potere locale, alleanze con la sola conseguenza di mettere queste ultime ancora più in lotta fra di loro in un conflitto senza un possibile vincitore e, quindi, senza fine.
Era naturale che, in questa caotica situazione, entrassero in gioco nuovi protagonisti. A contrastare il debole potere centrale ha avuto un ruolo sempre maggiore il generale Haftar, antico collaboratore di Gheddafi, appoggiato soprattutto dall’Egitto, che tradizionalmente considera la regione libica confinante, cioè la Cirenaica, come una propria costola.
Forte dell’appoggio dell’Egitto, dell’Arabia Saudita e degli Emirati, l’esercito di Haftar ha conquistato molta parte del territorio libico ma non è riuscito, neppure dopo uno sforzo lunghissimo e nonostante l’arruolamento di numerose truppe mercenarie, a conquistare Tripoli, difesa non solo dalle deboli milizie del Primo Ministro Serraj ma da forze locali, le più efficaci delle quali provenienti dalla città di Misurata.
Con il prolungarsi di questa tragica paralisi, è entrato in gioco un nuovo protagonista non previsto, anche se da sempre interessato a ricoprire un importante ruolo nel Mediterraneo, cioè la Russia. Essa ha rafforzato la propria presenza nella parte orientale del Mediterraneo con un investimento di 500 milioni di dollari nella già sua base siriana di Tartus. A questo si è aggiunto l’antico desiderio di assicurarsi una presenza di altrettanto rilievo nella parte occidentale del Mare Nostrum. Il conflitto libico si è presentato quindi come l’occasione concreta per raggiungere quest’obiettivo. Come avviene nelle guerre per procura, la Russia non ha inviato in Libia soldati suoi ma squadre di mercenari così addestrate ed efficaci che sono sembrate in grado di aiutare Haftar a porre fine alla guerra con la definitiva conquista di Tripoli.
A questo punto è accaduto ancora una volta l’imprevedibile che ha rimesso tutto in gioco: un patto di alleanza fra la Turchia (spalleggiata dal Qatar) e Tripoli, firmato lo scorso 27 novembre, un patto che apre una ferita davvero profonda fra Russia e Turchia.
Un evento non previsto proprio perché, mentre le tensioni fra Egitto e Turchia sono ben note, altrettanto nota è l’attuale fase di amicizia fra Turchia e Russia. Un’amicizia che ha visto i due paesi operare congiuntamente in Siria e che si è perfino concretizzata nella vendita di ultramoderni missili russi alla Turchia, pur essendo quest’ultimo paese appartenente alla NATO.
Siamo evidentemente in una fase ancora fluida nei rapporti fra i due paesi: da un lato Putin e Erdogan si incontreranno nei prossimi giorni per tentare di cementare la loro complicata amicizia ma, dall’altro, la plurisecolare sfida fra le due antiche potenze, per il dominio del Mediterraneo, le pone in diretta concorrenza in Libia, diventata il ventre molle di tutto il Mare Nostrum.
Nell’analisi di questa complessa situazione vi è anche chi pensa, forse con eccessiva malignità, che la Turchia voglia riprendere il suo potere sulla Libia dopo 110 anni dal suo distacco dall’impero ottomano, approfittando della debolezza italiana.
A parte questa crudele ironia, la Libia è oggi l’esempio più chiaro e, purtroppo, più realistico e disperante del nuovo quadro internazionale nel quale stiamo vivendo.
Pur restando più potenti di tutti, gli Stati Uniti non intendono infatti continuare ad essere i poliziotti del mondo. In Libia gli americani guardano, sorvegliano e ammoniscono ma non muovono un dito, lasciando spazio e ruolo alle potenze regionali. La Cina è lontana dalla Libia e la Turchia e la Russia possono quindi fare liberamente il loro gioco.
Fa un certo effetto il non potere elencare l’Europa tra le potenze regionali nemmeno in riferimento al Mediterraneo. Le divisioni che si sono manifestate anche nel caso libico lo impediscono.
Vi è tuttavia ancora spazio per un imprevisto positivo. Il prossimo gennaio si svolgerà infatti a Berlino una grande conferenza sulla Libia. Prima che questa cominci bisogna arrivare, dimenticando le contrapposizioni del passato, ad un accordo fra Francia e Italia. Un accordo non sulla spartizione della Libia, ma sulla sua riunificazione e sull’avvio di un processo per portare i cittadini libici ad essere progressivamente arbitri del proprio destino.
Il nostro interesse non è quello di diventare i protettori della Libia o di altri paesi africani, ma di costruire attorno all’Europa un “anello di paesi amici” legati da un sempre più stretto rapporto di collaborazione con l’Unione. L’intesa fra Francia e Italia, in questo specifico caso, non può trovare alcuna opposizione in sede europea. Nello stesso tempo un accordo europeo non può che prevalere di fronte agli obiettivi di altri e non può che ricevere la preferenza del popolo libico. Per la natura stessa dell’Europa tale accordo nascerebbe infatti lontano da ogni rischio di colonialismo o di dominio. Penso infine che la Francia abbia un interesse particolare a ricercare un’intesa, anche perché diventano sempre più evidenti le difficoltà della Francia nel gestire da sola la propria complessa politica africana.