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Pare che oggi si alzi finalmente il sipario


Alberto Pasolini Zanelli

Dopo una serie quasi interminabile di “prove”, pare che oggi si alzi finalmente il sipario sullo spettacolo che va sotto il nome di impeachment e ha (o almeno dovrebbe avere) per imputato il presidente degli Stati Uniti e come giudice il Congresso. Il calendario, faticosamente messo a punto nelle ultime ore, conferma quello dei rari precedenti: prima la parola alla Camera, poi quella al Senato. Con compiti diversi ma coordinati: i deputati dovranno decidere, da domani e prevedibilmente entro questa settimana, se deferire Donald Trump alla giuria. Che è quella formata dai senatori e dovrebbe decidere l’intera vicenda entro qualche settimana, probabilmente, anche per non rovinare ai cittadini e alle famiglie americane le feste di Natale.

Si parte comunque con un certo ritardo, di cui sono responsabili in varia misura entrambe le parti, cioè i partiti. La difesa è stata costruita con impegno e durezza alla Casa Bianca con vari metodi, riassumibili nella riduzione al minimo dei testimoni e dei fornitori di notizie in proposito. L’accusa aveva l’interesse contrario e ha “invitato” diverse dozzine di membri del governo e delle altre istituzioni nazionali: ultimo, l’ex principale consigliere di Trump nel campo militare, il superfalco John Bolton, che fino alla sera della vigilia non ha risposto né sì né no, forse guardando soprattutto al proprio futuro.

Sul voto delle due Camere non dovrebbero esserci troppi dubbi. Alla Camera, che si è riunita oggi, sono in maggioranza i democratici; al Senato, che emetterà la sentenza definitiva il mese prossimo, sono in maggioranza i repubblicani. I primi hanno l’obiettivo di scacciare con una condanna Trump dalla presidenza, i secondi di salvarlo, anche perché non solo c’è in arrivo una sentenza parlamentare, ma fra meno di un anno si eleggerà il nuovo presidente, perché il suo quadriennio sta per scadere e statisticamente, di solito, l’inquilino della Casa Bianca viene confermato. Ma quest’ultima decisione spetterà agli elettori, gli altri li “preparano” in concorrenza.

Questo perché nel 2020 i cittadini andranno alle urne non solo per eleggere il presidente, ma anche deputati e senatori ed è probabile che una parte forse rilevante dei candidati a quelle altre cariche avrà la sorte decisa da come hanno votato loro sull’impeachment. La battaglia è più vivace alla Camera, ove Trump gioca sugli umori dei parlamentari dell’opposizione. I sondaggi nazionali indicano e confermano una parità di “gusti” dell’elettorato e i conteggi concordano nella previsione di un rapporto di cinquanta a cinquanta. Alcuni parlamentari corrono però un rischio: se dichiareranno Trump colpevole, potranno essere puniti dagli elettori quando sarà il loro turno.

Gli ultimi giorni e ore sono stati dedicati a questo incubo, anche se pare che la maggioranza dei deputati dell’attuale opposizione la figura poco orgogliosa della assoluzione potrebbe invece danneggiarli e fargli perdere il seggio. Le ultime previsioni sono dunque queste: alla Camera leggera maggioranza democratica (e accusatoria), al Senato una assoluzione di dimensioni ancora più strette. E alle urne, più tardi, una sostanziale e cocciuta parità.

Trump dispone però di un’arma che non è affatto segreta, ma potrebbe essere decisiva: convincere i “giurati” che il giudizio su di lui non dovrebbe essere deciso dagli scandali (in parte innegabili) delle manovre di politica estera mescolate con valutazioni finanziarie (ma tra i bersagli in questo c’è anche un vicepresidente repubblicano), bensì dalla situazione economica. Un vecchio detto è che gli americani “votano col portafoglio” e il loro in questo momento è piuttosto pieno, nei due settori più importanti e di più immediata valutazione: l’economia e il dollaro sono cresciuti durante tre anni di amministrazione Trump a livelli quasi record e nella stessa proporzione è diminuita la disoccupazione. Se il dibattito che si apre oggi alla Camera scivolerà dall’argomento del “tribunale” (che è soprattutto morale) il portafoglio finirebbe col pesare di più. Una volta di più.