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Joe Biden visto da Alberto Pasolini Zanelli

 Alberto Pasolini Zanelli

Ha aspettato diverse settimane Joe Biden dal giorno della sua elezione così contrastata e drammatica nello svolgimento, ma poi così chiara nel risultato. Anche per questo, ma soprattutto per coerenza e istinto, il successore di Donald Trump si è comportato finora al suo contrario: per esempio, aspettare settimane prima di pronunciare il suo primo discorso ufficiale alla nazione americana.

E ha parlato come quasi tutti prevedevano e lui si prometteva: rivelandosi una volta di più come uno dei più modesti inquilini della Casa Bianca, in contrasto con il suo chiassoso predecessore e rivale, ma anche con solide differenze da quasi tutti gli altri. È una delle rare promesse che vengono mantenute in circostanze del genere. Una delle poche accuse che gli fanno alcuni è di essere “modesto”. E lui modesto si è confermato. Gli altri lo prevedevano, lui lo cercava. Le sue prime parole di un appuntamento solenne sono state nello stile di una chiacchiera privata, non proprio ai connazionali più umili, ma da un caffè con la classe media (e in parte medio bassa) che ci si attendeva da un uomo che ha in faccia la moderazione e la ricerca delle armonie, dette anche “compromessi”.

Ed è anche il primo presidente di origine italiana. Un po’ “allungata”, a livello di nonni, però entrambi: uno del futuro papà, l’altro della futura mamma. E non se ne è mai vantato e neppure vergognato. Il suo destino si è preparato negli anni in cui nel nostro Paese, particolarmente nel Sud, infuriava la sua peggiore ondata di miseria. Come americano è stato fin dal primo giorno un “borghese” e “americana” è stata la sua ascesa, gradino per gradino, sull’ardua scala della politica. Ci voleva del tempo a crescere così, lui l’ha avuto e se lo è concesso. È salito grado per grado, arrivando nel ventunesimo secolo a dove i compaesani dei suoi nonni non avevano sognato di arrivare, neanche papà e mamma.

Una famiglia differente da quelle di altri italoamericani potenti o famosi. Ha preparato l’incoronazione della sua carriera “servendo” da vicepresidente, la carica che appena arrivato alla Casa Bianca ha trasferito alla prima donna vicepresidente degli Stati Uniti e anche la prima donna di “colore”, figlia anzi di due continenti diversi, inaugurando anche la tradizione etnica e culturale dell’India. Generoso egli è stato anche per molte altre cariche, dimostrando una predilezione per le minoranze illuminata e conveniente per la carriera.

E ha parlato, per la prima volta in forma ufficiale, come la grande maggioranza degli americani si aspettava. Joe Biden non ha voluto esibirsi come l’opposto di Donald Trump, ma neanche una “copia” dei suoi predecessori più remoti e più recenti, repubblicani e democratici. Non ha cercato di assomigliare a Lincoln o a Roosevelt e neppure a Reagan, con cui è stato finora piuttosto l’educato antidoto. Anche nei successi: è stato eletto con una maggioranza rispettabile e attesa, ma non conquistando, come Reagan, nella prima elezione 46 Stati su cinquanta e nella seconda 49. Non ha promesso come Reagan fece di “restaurare l’America” e, fin che c’era, “cambiare il mondo”. Però ci è riuscito, mutandone l’ordine e le personalità nazionali, prima fra tutte Mikhail Gorbaciov che non solo cambiò in gran parte la Russia, cominciando dall’abolire l’Unione Sovietica, la rivale dell’America nel dominio del mondo e nella contesa nucleare. Gorbaciov, l’uomo che si presentò ai funerali di Reagan accanto alla vedova, spandendo anch’egli lacrime.

Joe Biden era più vecchio di Reagan e di tutti i presidenti che adesso è andato a succedere. Con parole modeste ma non sommesse, parlando con calma e quasi a bassa voce, facendo promesse del genere che un uomo politico può permettersi dipingendo un futuro che potrebbe anche riuscire a fabbricare. Anche se come oratore non è stato al livello di Kennedy o di Obama. L’hanno applaudito e la moglie sembrava davvero entusiasta.

Pasolini.zanelli@gmail.com

 

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