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L’America è angosciata


Alberto Pasolini Zanelli

L’America è angosciata come il resto del mondo per la tragedia cosmica e per la persecuzione di ogni essere vivente da parte di un Diavolo che chiamiamo Coronavirus. Non sorprende che oltre alla paura si diffonda o si intensifichi una rabbia, un odio non soltanto contro un morbo e un po’ tutte le cause della morte violenta nella lunga storia dell’umanità. Compresi gli uomini che hanno ucciso o fatto uccidere, per odio o in conseguenza delle proprie ambizioni che includono la violenza. L’impossibilità di reagire a questa sconfitta continua senza un colpevole ravviva in qualcuno la tentazione di rifare il processo a lutti del passato, compresi naturalmente quelli di origine umana, vale a dire le guerre. E dunque i condottieri, più frequentemente i più famosi.

Il nome che spunta adesso è forse il più glorioso della Storia, ma anche il simbolo della violenza e della morte militare. Proprio lui: Napoleone Bonaparte. Rimasto un po’ indietro nella Storia, soprattutto in un’America che non ha conosciuto le sue guerre, le sue glorie e la sua tragedia. Non è dunque interamente una sorpresa, ma una riemersione improbabile: su un autorevole quotidiano americano è comparsa una arringa contro il generale e imperatore francese con un titolo limpido nella sua faziosità: “È ora che cominciamo a smitizzare Napoleone”. Quasi tre secoli dopo, insomma, ad applaudire quello che accadde un giorno a Waterloo. È una pagina di storia spesso promossa a simbolo. E adesso riesumata in un capitolo negativo. Bonaparte, non dimenticato in Europa ma catalogato fra i miti della Storia, ma ora meno come condottiero che come statista. Cattivo per certi americani come molti fra i Padri Fondatori degli Stati Uniti, comparabile dunque a tutti quegli “eroi” di cui tutta l’America passa di questi tempi il tempo a distruggere i monumenti e per cancellare il ricordo. Soprattutto i generali protagonisti della guerra civile, di cui si è salvato finora soltanto Lincoln. Gli altri stendono il marmo delle loro statue sotto il martello dei moralisti, soprattutto Robert Edward Lee, cui viene perdonata soltanto la sua decisiva sconfitta: Gettysburg. E dunque il suo omologo europeo: Waterloo. Secondo l’autore (anzi, l’autrice) quella sconfitta della Francia imperiale e imperialista fu una grazia della Provvidenza. Il suo significato è nuovo, quasi inedito: Napoleone doveva perdere perché era un sostenitore della schiavitù. E una sua vittoria non solo avrebbe consolidato l’egemonia di Parigi sull’Europa, ma ridato una spinta per una ulteriore espansione di quell’istituto brutale e disumano.

Come se Napoleone e la Francia ne fossero i principali padrini, mentre lo erano altri, il più famoso dei quali proprio l’America. Via col vento non è stato scritto in francese. E la Francia, già da prima di Bonaparte, aveva un ruolo minimo e decrescente in quel crudele istituto. Aveva detenuto schiavi? Sì, solo in una piccola isola del suo fragile e breve impero coloniale: Haiti, oggi Repubblica Dominicana. Era quasi inesplorata e sarebbe stata dimenticata, se non ci fosse cresciuta una spezia fino allora sconosciuta in Occidente: lo zucchero. I francesi si trovavano fra le braccia una miniera commestibile, quasi un monopolio mondiale e i suoi commercianti lo sfruttarono al massimo, ricorrendo alla manodopera locale, schiavi di pelle nera. Fu anche l’unica colonia a ribellarsi con le armi, a scendere in battaglia con i soldati di Napoleone e a sconfiggerli. Prima di Waterloo, ma lui era lontano e non se ne occupò più tanto. La Francia, sua e dei suoi successori, non ebbe grosse difficoltà ad abolire la schiavitù con molto anticipo sugli altri e soprattutto sugli Stati Uniti. Era un istituto singolare nel quadro planetario. I neri di Haiti erano schiavi finché si trovavano sull’isola. Se e quando qualcuno di loro metteva sul suolo della Francia metropolitana, automaticamente diventava un uomo libero. A uno, per esempio, capitò perché aveva accompagnato a Parigi il suo padrone. Da uomo libero si diede da fare per trovare quello che oggi chiamiamo un job. Scelse l’arruolamento nell’esercito. E fece carriera: dopo un numero non eccessivo di anni diventò generale. Collega di grado di Napoleone, che in più naturalmente faceva l’Imperatore. A un certo punto non si amarono e il Bonaparte si servì del suo potere spingendolo al pensionamento anticipato. Fu, il suo, il gesto più schiavista. Il nero liberato rimase in Francia e generò un figlio destinato a diventare uno scrittore. Il suo nome era Alexandre Dumas.

Pasolini.zanelli@gmail.com

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