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Senza vaccini l’Europa non riparte


Lo sforzo che serve: se le sorti dell’economia dipendono da un siero

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 7 marzo 2021

Tutti sappiamo che il virus da cui siamo assediati non solo ha sconvolto le nostre vite, ma ha colpito con una violenza senza precedenti le nostre economie.

La pandemia si è diffusa in tutto il mondo con caratteristiche simili, ma le strategie e gli strumenti per reagire al morbo sono stati diversi, e diversi i loro effetti. Come conseguenza, pur in presenza di un’ancora diffusa situazione di emergenza, si discute intensamente su come e chi uscirà prima dalla crisi e quali saranno le caratteristiche dell’economia post-Covid.

Voglio partire subito con un’affermazione che può sembrare eccessiva, ma vi sono tutti gli elementi per concludere che i grandi motori dell’economia mondiale saranno, ancora più di prima, la Cina e gli Stati Uniti. Oggi è facile dirlo, ma non lo era quando le cose sono cominciate, anche perché nessuno si aspettava che gli eventi si svolgessero come poi si sono svolti.

La Cina, infatti, è cresciuta del 2,3% già nell’orribile 2020 e il Primo Ministro Li Keqiang, nella solenne seduta di apertura dell’assemblea plenaria del Congresso Nazionale del Popolo, ancora in pieno svolgimento a Pechino, ha posto come obiettivo minimo per l’anno in corso una crescita del 6%, con 11 milioni di posti di lavoro aggiuntivi. Eppure questo obiettivo è stato considerato eccessivamente prudente dalla maggior parte degli analisti dell’economia cinese.

La vera sorpresa è tuttavia costituita dagli Stati Uniti, dove non solo l’industria mostra segni di ripresa, ma vi è un condiviso ottimismo che i primi successi della diffusione del vaccino e le impressionanti misure di sostegno previste da Biden produrranno, già da quest’anno, un tasso di crescita superiore a quello del 2019.

Tra gli economisti americani, anche keynesiani, si è aperto addirittura il dibattito se le iniezioni di potere d’acquisto previste da Biden non siano addirittura eccessive dato che, per dare un’idea della loro incredibile dimensione, sono previste raggiungere una somma non dissimile all’intero Prodotto Nazionale Lordo del nostro paese.

Pur non essendo ancora fuori dalla crisi c’è chi, come Larry Summers, ritiene che queste ingenti iniezioni di liquidità possano innescare un pericoloso processo inflazionistico. Con altrettanta autorevolezza, gli risponde Paul Krugman che questo non avverrà perché i consumi riprenderanno solo lentamente.

Per fare un esempio comprensibile a tutti, Krugman ci spiega che chi non è andato al ristorante per sei mesi, non potrà certo recuperare tutti i pasti non consumati in precedenza.

Tuttavia, al di là dei dibattiti accademici, il recupero della produzione manifatturiera, ormai partita in tutto il mondo, sta già facendo lievitare, in modo abbastanza diffuso, i prezzi delle materie prime e dell’energia.

Il Presidente della Riserva Federale Americana si è affrettato ad affermare che gli aumenti di prezzi sono reali, ma che si tratta di fenomeni temporanei e settoriali. Powell ha quindi deciso di continuare a dare fiato all’economia, almeno per ora, con l’attuale politica dei bassi tassi di interesse.

Non sono personalmente convinto dell’irrilevanza degli aumenti in corso ma, prima di tutto, debbo riconoscere che un po’ di inflazione non farebbe male e in secondo luogo che, nell’attuale situazione, vi è ancora tempo per intervenire qualora gli aumenti dei prezzi si mostrassero più durevoli del previsto.

In ogni caso, in ragione delle politiche adottate e della straordinaria diffusione dei vaccini, gli Stati Uniti, anche se non raggiungeranno il tasso di crescita della Cina, sono già entrati in una fase di forte ripresa. Una ripresa che interessa molto a noi europei perché, a differenza di quanto avviene nel caso cinese, sarà accompagnata da un corposo deficit della bilancia commerciale, un deficit che favorirà particolarmente le nostre esportazioni.

A questo proposito bisogna cogliere con favore la sospensione, anche se per ora limitata a quattro mesi, dei dazi imposti da Trump nel commercio con l’Europa. Questa decisione non solo favorisce le nostre esportazioni, ma apre la prospettiva di una politica commerciale più coordinata di quella avvenuta fino ad ora fra Stati Uniti ed Europa.

Un coordinamento necessario per ottenere regole più paritarie nei rapporti commerciali con la Cina, anche in presenza delle esistenti tensioni politiche.

Il quadro economico esterno all’Europa si va quindi evolvendo in modo positivo, ma è evidente che ne potremo approfittare solo quando avremo anche noi la stessa diffusione dei vaccini.

Per ora la ripresa tocca solo la nostra industria manifatturiera che, anche in Italia, ha segnato un andamento positivo nei primi due mesi dell’anno in corso.

Dobbiamo tuttavia tenere conto che, anche se l’industria manifatturiera è per noi importantissima e influisce in modo determinante su tutto il resto della nostra economia, il valore aggiunto da essa prodotto non arriva al 20% del totale, mentre il 70% è prodotto dal settore terziario, che ora versa in una drammatica crisi a cui solo il vaccino può porre rimedio.

Al termine di queste riflessioni ci tocca quindi ritornare alla semplice e scontata conclusione che, anche in un quadro mondiale in cui si vede la luce in fondo al tunnel, la ripresa europea è totalmente condizionata dalla diffusione dei vaccini. Bene quindi ogni sforzo per procurarne tanti, da qualsiasi parte arrivino, e ben venga ogni sforzo per garantirci il futuro, producendone anche in Italia. Intanto, però, facciamo in modo di iniettare in fretta quelli che abbiamo!

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