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"Mi devi far suonare nella tua band…"


 "Mi devi far suonare nella tua band…" insisteva il giovane Franco Cioci frequentatore del Circolo Impiegati Civili di Firenze.

"Franco, tu sei un ottimo fisarmonicista ma io ho bisogno di un bassista, chi suona la fisarmonica ce l'ho già…" Questa la mia risposta.

Quella sera Franco Cioci si presentò sul palco dell'orchestra con un enorme contrabbasso.

A scuola non è che avesse avuto grandi risultati però a 18 anni Franco decide che era arrivata l'ora di studiare davvero qualcosa che gli andava a genio.

E si mise in maniera forsennata a studiare da privatista il pianoforte, dette tutti gli esami e fu promosso con lode.

Poi, non contento, si prese una specializzazione in Composizione diventando il vicedirettore del Conservatorio Musicale Cherubini di Firenze.

Tra i suoi allievi Dario Nardella che doveva diventare il giovane, prestigioso sindaco di Firenze ma del quale sono in molti ad ignorare il talento come violinista che gli ha consentito negli anni dell'università di guadagnare qualche soldo suonando nei grandi alberghi di Firenze.

Franco era un fiorentino puro, uno alla Dante Alighieri per quel suo incontenibile modo di esporre il proprio punto di vista spesso ponendosi in conflitto con chi non la pensava come lui.

"Ma bisogna essere onesti prima di tutto con se stessi e poi con gli altri…" Era solito dire a chi lo pregava di essere più diplomatico.

Poi Franco riusciva a recuperare con il suo acuto e corrosivo senso dell'umorismo in questo manifestando la sua grande fiorentinità.

Ero già a Roma a lavorare all'Iri quando mia moglie fu costretta a restare in ospedale per alcuni accertamenti.

Franco prese la macchina si fiondò su Roma da Firenze e gestì quell'emergenza familiare riuscendo persino a farsi rispettare da Max e Marco che del resto era il suo figlioccio.

Ogni volta che tornavo dall'America non mancavo di pianificare una visita a Firenze e a Franco.

Lunghe camminate di sera nel centro storico spendendo il tempo in seriose discussioni-conversazioni esistenziali riprendendo un filo che avevamo lasciato molti anni prima in Romagna quando, dopo aver finito di lavorare con le nostre orchestre nei locali marini alle due del mattino, chiedevamo alle stelle quale sarebbe stato il nostro futuro visto che quel mestiere di musicanti proprio non c'andava bene. E le birre bevute non è che ci aiutassero molto.

Scoppiata la pandemia ho cercato diverse volte di chiamare Franco al telefono cellulare senza successo. Suo figlio Fernando mi informava sulle sue condizioni di salute che non erano buone e in  più c'era il pericolo del virus.

Poi anche le telefonate con Fernando si sono dimostrate impossibili.

Venti giorni fa mi sono imposto di riprovare a chiamare quel benedetto cellulare che non rispondeva.

Questa volta Franco mi ha risposto, felice di sentire la mia voce e quella di mia moglie, aveva trascorso almeno tre mesi carcerato in ospedale dove gli impedivano qualsiasi contatto con i familiari, ma adesso era tornato a casa lieto di tuffarsi di nuovo nei suoi libri, di riordinare le composizioni che aveva scritto e per le quali aveva ottenuto alti riconoscimenti internazionali, assistito con affetto infinito dalla figlia Monica (anche lei grande strumentista), figlioccia del vostro redattore.

Ieri Fernando mi ha chiamato su Whatsapp e mi ha detto che Franco la sera prima era seduto nella sua poltrona di cuoio e stava ascoltando un brano di musica classica quando ha chiamato la figlia e le ha detto che non si sentiva bene e che voleva distendersi sul letto.

Si è alzato, si è disteso sul letto e ha staccato la spina.

Grazie Franco per averci dato di Te un ricordo prezioso.

Oscar

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Oscar riesci sempre a stupirmi con i tuoi ricordi! Sei veramente bravo e parli al cuore ! Un abbraccio anche alla cara Franca. 

Isabella D.   Roma

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