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Che cosa rischia l’Ucraina, nelle elezioni americane

Federico Rampini per www.corriere.it

Che cosa rischia l’Ucraina, nelle elezioni americanedi metà mandato? Molto.

Sia perché l’avvicinarsi di quelle elezioni ha fatto emergere all’improvviso delle defezioni inattese, sia a destra che a sinistra, dal fronte della solidarietà americana con Kiev.

Sia perché una regola implacabile della politica americana vuole che dopo la votazione di mid-term per il Congresso, si comincerà a parlare della corsa alla Casa Bianca nel 2024.

L’apertura di quell’altra campagna elettorale rischia di rendere più visibili certe linee di frattura sull’Ucraina. Questo può esercitare un effetto «liberi tutti» sugli alleati europei, o almeno su alcuni di loro che già danno segnali di irrequietudine, come la Germania.

Sia chiaro, l’Ucraina non è affatto un tema della campagna elettorale. A dieci giorni dal voto, le preoccupazioni sono altre. Inflazione, rischi di recessione, immigrazione, criminalità. La politica estera ha raramente un peso nelle campagne elettorali. Tantomeno se si vota per il Congresso.

Dopotutto è il presidente che fa la politica estera. Il Congresso viene chiamato in causa solo quando si tratta di finanziarla, e sugli aiuti all’Ucraina avrà effettivamente l’ultima parola. Per questo devono preoccupare Kiev le ultime uscite di esponenti repubblicani.

Non solo certi trumpiani di ferro, fedeli alla vena isolazionista del loro capo, ma anche un notabile del vecchio establishment repubblicano, il capogruppo alla Camera Kevin McCarthy, ha detto di recente che la guerra in Ucraina comincia a costare troppo al contribuente americano.

Lo ha subito rintuzzato Mitch McConnell, capogruppo repubblicano al Senato. Anche un trumpiano come Mike Pompeo è favorevole ad aiutare l’esercito ucraino a oltranza. Ma tant’è, la linea non fa l’unanimità in campo repubblicano. E l’8 novembre i repubblicani dovrebbero riconquistare la maggioranza in almeno uno dei rami del Congresso.

In campo democratico è successo un incidente increscioso quando è uscito un appello rivolto da una ventina di parlamentari dell’estrema sinistra del partito, in cui in buona sostanza si chiedeva a Biden di indicare un endgame in Ucraina, di favorire un negoziato, anche premendo su Zelensky.

Al di là dei dettagli, per il suo tono quel testo è stato subito interpretato come un «rompete le righe», una dissociazione dalla linea Biden. L’allarme è rientrato perché i firmatari hanno sconfessato l’appello, spiegando che lo avevano redatto a giugno, quando la situazione in Ucraina era molto diversa. Per ora la disciplina di partito è stata ricostruita, ma il segnale rimane.

In sintesi, che lezione deve ricavarne Zelenski? Che Biden non sia eterno, lo sapeva. Ora Kiev deve cominciare a fare i conti con uno scenario politico imprevedibile.

Finché i repubblicani si limitano a riconquistare una maggioranza al Congresso, è probabile che si trovino i voti per i prossimi pacchetti di aiuti all’Ucraina. Comunque Biden non esclude di sottoporre una maxi-manovra di aiuti pluriennali all’Ucraina al «vecchio» Congresso (quello nuovo si insedierà a gennaio).

Ma poi? Quando usciranno allo scoperto i candidati per la nomination presidenziale in campo repubblicano, potrebbe esserci Trump o qualche altro isolazionista come lui, meno favorevole a prolungare a oltranza il sostegno agli ucraini.

L’imprevedibilità della politica americana avrà i suoi riflessi tra altri alleati Nato. Chi in Europa finora ha represso le proprie obiezioni, potrebbe uscire allo scoperto via via che sorgeranno dubbi sulla leadership americana.

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