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Il latinorum italo-inglese degli Italians

Da un quotidiano della Penisola: “I francesi sono ormai gli unici al mondo ad aver una commissione nazionale per la difesa della lingua. (...) Le preoccupazioni dei puristi di ogni Paese in questo secolo, cioè l’ingresso improprio di termini anglosassoni nel dizionario, sono del tutto superate. L’inglese è infatti diventato quello che alcuni utopisti avevano pensato per l’esperanto: una lingua universale. Così, lungi dall’inquinare i singoli idiomi nazionali, l’inglese è invece il mediatore di tutti.”

Il brano continua su questo tono enfatico cercando d’ingenerare il convincimento che gli italiani, festanti e supini di fronte all’avanzata dell’inglese, dimostrerebbero apertura di spirito, adattabilità, intelligenza. Invece i francesi, difendendo la lingua nazionale, marcerebbero contro il vento della storia, e si macchierebbero addirittura di sciovinismo e xenofobia.

Io non sono certo d’accordo con lo spirito di questo articolo, pur non essendo contrario all’uso di parole coniate dagli anglo-americani, quando però esse identificano prodotti o conoscenze “made in UK or in USA”, oppure colmano certe innegabili lacune del nostro vocabolario. A questo proposito, io incoraggerei gli italiani a dismettere la ridicola parola “chiocciola” che usano per il segno @ e ad adottare al suo posto un termine anche straniero. Inoltre proporrei, al posto di “manovra”, “budget” (o “bilancio” se gli “Italians” sono disposti a marciare contro il vento della storia).

Nello Stivale, le parole e frasi americane hanno raramente una funzione di arricchimento o di chiarezza. La verità è che, nella loro precipitazione imitativa, gli italiani si coprono di ridicolo masticando parole straniere mal pronunciate e mal comprese. Gran adoratori del feticcio delle mode, questa volta moda linguistica, gli italiani fanno prova non solo di scarsa dignità nazionale, ma tengono “in non cale” i destinatari dei loro discorsi. Infatti, l’uso di parole tratte dal parlare inglese, lungi dal migliorare la comunicazione, intorbida la chiarezza del testo. L’italo-inglese di cui fanno sfoggio tanti addetti ai lavori, governanti e giornalisti in testa, non è altro che una nuova forma di “latinorum”, ossia un gergo basato sull’esibizionismo e lo snobismo, che esclude le masse.

Il “fiscal drag”, epressione che andò per la maggiore nella Penisola, non è nata certo in seno al popolino, e lo stesso dicasi delle tante altre parole ed espressioni “usa e getta” infioranti gli scritti di politici e giornalisti. Gli esempi abbondano. Berlusconi ci ha regalato di recente un “due diligence”, di assai difficile comprensione per chi non possegga una laurea in legge di una università anglofona. Parimenti, la locuzione “smoking gun”, usata in un articolo di fondo (“Corriere della Sera”, 6-09-08), ha avuto come effetto di avvolgere in una cortina di fumo un’intera frase.

L’espressione “in tilt”, come “traffico in tilt”, è invece capita da tutti gli italiani. Peccato che non la capiscano gli stranieri anglofoni, dal momento che si tratta di una frase di quell’idioma pseudoinglese all’Alberto Sordi di cui i nostri impareggiabili “Italians”, ex autarchici divenuti internazionalisti da salotto, vanno oggi tanto ghiotti.

Claudio Antonelli
Montreal (Canada)

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