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Grande confusione nella gestione della finanza pubblica.



Guido Colomba

Regna una grande confusione nella gestione della finanza pubblica. Sono passati nove anni dalla crisi dei subprime, ma la trasparenza è ancora un traguardo da raggiungere. La confusa abolizione dei voucher è l'ennesimo esempio di uno scadente dilettantismo normativo. E' uscito il decreto governativo ma nulla si sa sul regime transitorio (fino al 31 dicembre) e sulle modalità di spesa dei circa 35 milioni di tagliandi ancora in circolazione. Altrettanto incomprensibile la guerra sotterranea nel governo sulle privatizzazioni. Impera la "finanza creativa" tra piani A e piani B. Così si ipotizza il 30% di Poste verso Cdp, un'autentica partita di giro. In alternativa una valorizzazione di Cassa Depositi e Prestiti, conferendo nuove partecipate del Tesoro, per poi vendere il 15% "a sconto" ad un fondo estero. Ma in tal caso sarebbe difficile giustificare il coinvolgimento di Cdp in operazioni di salvataggio. Il vero problema è che il Tesoro agisce come se le casse fossero vuote nonostante la crescita del debito pubblico. Ne è testimone la recentissima legge di stabilità 2016. Ebbene i soldi per la gestione della rete infrastrutturale (6,6 miliardi) affidata all'Anas non ci sono, mentre resta al palo il progetto di fusione con le Ferrovie dello Stato, che porterebbe ad una "regia" nazionale per la spesa in opere pubbliche con sensibili riflessi sulla crescita del Pil. Un secondo effetto è costituito dalla crescita di valore derivante dal "merger" tra Anas e Fs ai fini di una privatizzazione finalizzata alla riduzione del debito. Invece è tutto fermo. Per il timore di una bocciatura europea si prende tempo. Una costante nella politica del ministro Padoan come dimostra la vicenda delle banche e dei crediti deteriorati. Il Paese è paralizzato da troppo tempo da una classe governativa che ritiene di risolvere i problemi della crescita solo sul recupero dell'evasione (più elusione) fiscale mentre la spesa corrente continua a crescere. Un "leit motiv" che finora ha prodotto risultati del tutto insufficienti per garantire la crescita dell'occupazione e degli investimenti. Né il governo prova a cambiare la struttura del welfare italiano. La scuola (dalle elementari agli Atenei) resta all'ultimo posto. E' il fanalino di coda con 70 mila matricole (-20%) in meno tra il 2003 e il 2015 e il 45% di abbandoni. Un dato su tutti: solo il 30 per cento dei diciannovenni decide di continuare gli studi. La valvola di sfogo è la fuga verso l'estero. Qualcuno sottolinea che i giovani che trovano lavoro all'estero scoprono di pagare molto meno tasse o di non pagarle affatto. Ne vogliamo parlare? In Italia, persino l'apertura di una partita Iva è divenuta punitiva per i forti costi "obbligatori" richiesti preventivamente. Altro che politica a favore dei giovani.