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Il presidente probabilmente non userà le armi nucleari.



Alberto Pasolini Zanelli
Il presidente probabilmente non userà le armi nucleari. Essendo comparso su uno dei giornali di più fiera opposizione alla Casa Bianca di Donald Trump, ci si può interrogare sul significato: è una garanzia o una critica? Una possibile spiegazione è a portata d’occhio, un altro titolo: “Nessun presidente dovrebbe disporre del codice nucleare”. Sembra un allarme dei pacifisti e in un certo senso lo è: però in direzione opposta a quella solita. Ed è la conclusione di un’analisi quasi senza precedenti, che esprime sì dubbi sull’attuale inquilino della Casa Bianca, ma di segno opposto a quello che ci si aspetterebbe. E lo basa su un esame delle parole e dei fatti di tutti i suoi predecessori, democratici e repubblicani, falchi e colombe, dai massacri di Hiroshima e Nagasaki, al seguito temuto e disatteso: non ci sono state altre bombe atomiche, non sono scoppiate altre guerre nucleari, anche se ci si è andati diverse volte molto vicini. L’ultimatum che Trump ha spedito giorni fa al presidente e dittatore nordcoreano Kim Jong-un era parso esplicito: se continuerete a minacciarci, reagiremo in un modo che mostrerà ai coreani e al mondo intero “fuoco e tempesta”. Di questo lessico si compongono gli ultimatum e l’accento sulla “bomba” è esplicito e pareva urgente. Invece è arrivato, dopo pochi giorni, una sorta di “contrordine” e l’offerta di un negoziato. Potrebbe essere solo un mutamento di tono, ma è più probabile che sia un cambio di strategia, che i Paesi protagonisti, vicini e il mondo intero, dovrebbero avere accolto con unanime sollievo.
Le cause del mutato linguaggio possono essere diverse: una meditata mossa strategica e diplomatica, un esempio di più della volubilità di Trump, una profonda ragione storica ed essenziale. L’opposizione Usa, che è soprattutto di “sinistra”, implacabile nel sottolineare ogni segno di incapacità dell’inquilino della Casa Bianca (di cui qualcuno giunge ora a prevedere la deposizione a breve scadenza tramite l’impeachment), interpreta queste oscillazioni dove una prova in più dell’incapacità attribuita a Trump. Ma adesso emerge, ma non parte della Casa Bianca e dei suoi pochi amici, un’ipotesi alternativa, riassunta nell’affermazione che nessun presidente dovrebbe disporre del bottone nucleare.
Ma non sarebbe e forse non è un profondo auspicio pacifista. Può anche essere interpretato in senso opposto. Non sono ulteriori pieni poteri ai presidenti (che sono anche i comandanti in capo delle forze armate), ma un invito a diminuirli, fino ad oggi, per il motivo opposto. Nessun presidente, dopo Harry Truman, ha mai dato il via a un conflitto nucleare e qualcuno sospetta che ciò non accadrà mai.
Già negli anni Cinquanta, quando le ceneri di Hiroshima ancora scottavano, il successore di Truman, Eisenhower (un generale) ha rifiutato l’uso dell’atomica contro la Corea del Nord che aveva invaso la Corea del Sud. Quella fu una guerra lunga, con invasioni alternate e distruzioni senza precedenti (più bombe sulla piccola Corea del Nord che nell’intera Seconda guerra mondiale). Conclusione, un armistizio irto di trappole e di angosce. Pressappoco negli stessi anni l’Urss di Stalin si fece la sua atomica e questa ulteriore minaccia diventò un ostacolo alla nuova guerra perché presentava il rischio di una totale distruzione reciproca dei belligeranti e questo nonostante che nel frattempo che l’arma nucleare moltiplicasse la sua potenza e diventasse relativamente più facile da costruire. Condizione “ideale” per farvi uso, militare o ultimativo. Le occasioni si presentarono numerose, la proposta arrivò alla Casa Bianca perché solo il presidente poteva autorizzare e coordinare questo ordigno definitivo. Il successore immediato di Truman, Eisenhower, pronunciò il suo “no” in una riunione della Sala Ovale della Casa Bianca con i principali collaboratori, militari e civili: “Dovete capire – disse –che questa non è un’arma militare. Nessuno di voi si è ancora ritirato in una stanza quieta a contemplare la reale natura di una futura guerra termonucleare, le misure del caos e della distruzione”. E così argomentarono, forse in termini meno drastici, tutti i presidenti della Guerra Fredda, incluso l’ultimo, Ronald Reagan. Gli mostrarono un film che “raccontava” graficamente la storia di una di queste guerre. Ed egli ne trasse la conclusione che “questa è la prima e unica ammissione che io abbia trovato in questi cassetti e che suscitò in me una grande depressione”. Le cui conseguenze egli seppe trarre e cambiò rotta drammaticamente, abbassando i toni della sua efficace retorica contro l’Urss come “impero del male” e inaugurando assieme a Gorbaciov la fine della Guerra Fredda. Limitando i fino ad allora illimitati poteri delle Superpotenze e lasciando a sua volta un’eredità ai successori, sigillata da quella disposizione costituzionale che limita al solo presidente il potere di dare il via a quella Apocalisse. Anche contro l’eventuale parere dei militari. Che è una mano libera a un presidente falco ma è anche un veto a tutti i falchi che non siedano alla Casa Bianca. Incluso per la prima volta anche il ruggente Donald Trump.