Le tensioni e gli scontri verbali intorno alla Corea del Nord si sono
fatti sempre più aspri, fino ad allarmare, negli ultimi giorni, sia le
cancellerie delle grandi potenze che i mercati finanziari. Lasciando da
parte i mercati, che cercano sempre qualche buona ragione per speculare
in alto o in basso, l’allarme politico non è mai stato così elevato. La
Russia teme che lo sgangherato ma pericoloso regime di Pyongyang possa commettere qualche tragica sciocchezza.
Gli Stati Uniti lo vedono come un pericolo per i propri alleati
asiatici e, seppure con qualche riserva, anche per la sicurezza
nazionale. I governi europei temono le imprevedibili conseguenze di un
conflitto che potrebbe assumere caratteristiche difficilmente
immaginabili.
Tutti questi sono timori giustificati perché, negli ultimi mesi, lo scontro verbale sembra prevalere sul dialogo. Anche se alcune pur secondarie linee di contatto fra Washington e Pyongyang rimangono aperte, Trump dichiara infatti che, se la Corea del Nord non arriverà a miti consigli, il paese subirà conseguenze “come poche nazioni hanno avuto negli ultimi anni”.
Nonostante queste dichiarazioni credo tuttavia che non vi siano molti elementi che facciano prevedere lo scoppio di un conflitto aperto nel prossimo futuro.
L’imbarazzante e pericoloso equilibrio che va avanti da qualche anno non mi sembra essere prossimo a sostanziali mutamenti.
Da un lato l’imperscrutabile e non certamente equilibrato dittatore della Corea del Nord fa quello che fanno i dittatori e che egli continua a fare da tempo, e cioè elimina anche ferocemente i nemici interni e usa la minaccia nucleare come strumento di rafforzamento del proprio potere nei confronti dei nemici esterni.
Una minaccia a cui Kim Jong Un non vuole rinunciare anche per non commettere “l’errore di Gheddafi”, attaccato ed ucciso dopo che aveva accettato di smantellare le strutture dedicate alla preparazione delle armi nucleari.
L’inasprimento delle tensioni militari e la moltiplicazione delle dichiarazioni ostili degli ultimi tempi deve evidentemente preoccupare ma occorre pur sempre tenere presente che la chiave finale degli equilibri della penisola coreana è sostanzialmente nelle mani della Cina, senza l’aiuto della quale la Corea del Nord non può sopravvivere a lungo nemmeno per le necessità più elementari. Consapevoli di questa realtà gli Stati Uniti accusano la Cina di non fare abbastanza per contenere il pericolo nucleare della Corea del Nord ma non sono evidentemente disposti a pagare qualunque prezzo affinché la Cina inasprisca il proprio comportamento.
Da parte sua la Cina conferma la sua “neutralità”che, in parole semplici, si traduce in una raffinata e non dichiarata difesa dei propri interessi strategici. Il primo interesse è quello di limitare l’aggressività e la forza di una pericolosa dittatura fornita di armi nucleari ai propri confini: per questo motivo la Cina ha aderito all’applicazione delle sanzioni contro la Corea del Nord nonostante l’esistenza di un trattato di amicizia fra i due paesi. L’altro interesse è però quello di impedire ad ogni costo la riunificazione fra le due Coree. Tutto ciò renderebbe infatti la Cina più vulnerabile di fronte a due pericolosi nemici come il Giappone e la Corea unificata e porterebbe, come conseguenza, migliaia di soldati americani lungo i propri confini.
Questo pur pericoloso equilibrio dura ormai da tempo e durerà fino a che non vi sarà un accordo fra Stati Uniti e Cina per una strategia comune sufficientemente forte da convincere, con le buone o con le cattive, la Corea del Nord a rinunciare alla propria corsa al nucleare.
Oggi come oggi siamo ancora lontani da questa prospettiva. Non è infatti chiara l’idea di quale prezzo la Cina voglia fare pagare agli Stati Uniti per sciogliere il nodo coreano e, d’altra parte, non abbiamo nemmeno l’idea di cosa gli Stati Uniti siano disposti a concedere dato che, nonostante le parole grosse, non vi è oggi né la volontà né l’interesse di aprire un conflitto di cui tutti ignorano le conseguenze.
Nell’attesa di possibili mutamenti di scenario ci dovremo abituare a ricorrenti segnali di allarme ma con poche probabilità di un conflitto aperto. Il che non significa essere esenti da rischi perché le tensioni ripetute, in un quadro così incerto e con leader così imprevedibili, contengono sempre forti elementi di rischio. Ci conviene perciò osservare con quotidiana attenzione il grande gioco dei rapporti fra Cina e Stati Uniti e considerare il caso coreano nell’ambito di questi rapporti, pur sapendo che, in un clima di grande confusione, anche i paesi considerati “minori” possono avvelenare i rapporti tra le grandi potenze.
Tutti questi sono timori giustificati perché, negli ultimi mesi, lo scontro verbale sembra prevalere sul dialogo. Anche se alcune pur secondarie linee di contatto fra Washington e Pyongyang rimangono aperte, Trump dichiara infatti che, se la Corea del Nord non arriverà a miti consigli, il paese subirà conseguenze “come poche nazioni hanno avuto negli ultimi anni”.
Nonostante queste dichiarazioni credo tuttavia che non vi siano molti elementi che facciano prevedere lo scoppio di un conflitto aperto nel prossimo futuro.
L’imbarazzante e pericoloso equilibrio che va avanti da qualche anno non mi sembra essere prossimo a sostanziali mutamenti.
Da un lato l’imperscrutabile e non certamente equilibrato dittatore della Corea del Nord fa quello che fanno i dittatori e che egli continua a fare da tempo, e cioè elimina anche ferocemente i nemici interni e usa la minaccia nucleare come strumento di rafforzamento del proprio potere nei confronti dei nemici esterni.
Una minaccia a cui Kim Jong Un non vuole rinunciare anche per non commettere “l’errore di Gheddafi”, attaccato ed ucciso dopo che aveva accettato di smantellare le strutture dedicate alla preparazione delle armi nucleari.
L’inasprimento delle tensioni militari e la moltiplicazione delle dichiarazioni ostili degli ultimi tempi deve evidentemente preoccupare ma occorre pur sempre tenere presente che la chiave finale degli equilibri della penisola coreana è sostanzialmente nelle mani della Cina, senza l’aiuto della quale la Corea del Nord non può sopravvivere a lungo nemmeno per le necessità più elementari. Consapevoli di questa realtà gli Stati Uniti accusano la Cina di non fare abbastanza per contenere il pericolo nucleare della Corea del Nord ma non sono evidentemente disposti a pagare qualunque prezzo affinché la Cina inasprisca il proprio comportamento.
Da parte sua la Cina conferma la sua “neutralità”che, in parole semplici, si traduce in una raffinata e non dichiarata difesa dei propri interessi strategici. Il primo interesse è quello di limitare l’aggressività e la forza di una pericolosa dittatura fornita di armi nucleari ai propri confini: per questo motivo la Cina ha aderito all’applicazione delle sanzioni contro la Corea del Nord nonostante l’esistenza di un trattato di amicizia fra i due paesi. L’altro interesse è però quello di impedire ad ogni costo la riunificazione fra le due Coree. Tutto ciò renderebbe infatti la Cina più vulnerabile di fronte a due pericolosi nemici come il Giappone e la Corea unificata e porterebbe, come conseguenza, migliaia di soldati americani lungo i propri confini.
Questo pur pericoloso equilibrio dura ormai da tempo e durerà fino a che non vi sarà un accordo fra Stati Uniti e Cina per una strategia comune sufficientemente forte da convincere, con le buone o con le cattive, la Corea del Nord a rinunciare alla propria corsa al nucleare.
Oggi come oggi siamo ancora lontani da questa prospettiva. Non è infatti chiara l’idea di quale prezzo la Cina voglia fare pagare agli Stati Uniti per sciogliere il nodo coreano e, d’altra parte, non abbiamo nemmeno l’idea di cosa gli Stati Uniti siano disposti a concedere dato che, nonostante le parole grosse, non vi è oggi né la volontà né l’interesse di aprire un conflitto di cui tutti ignorano le conseguenze.
Nell’attesa di possibili mutamenti di scenario ci dovremo abituare a ricorrenti segnali di allarme ma con poche probabilità di un conflitto aperto. Il che non significa essere esenti da rischi perché le tensioni ripetute, in un quadro così incerto e con leader così imprevedibili, contengono sempre forti elementi di rischio. Ci conviene perciò osservare con quotidiana attenzione il grande gioco dei rapporti fra Cina e Stati Uniti e considerare il caso coreano nell’ambito di questi rapporti, pur sapendo che, in un clima di grande confusione, anche i paesi considerati “minori” possono avvelenare i rapporti tra le grandi potenze.