Alberto
Pasolini Zanelli
Il mondo diventa
sempre più grande ma soprattutto, contemporaneamente, sempre più piccolo.
L’ultimo paio di giorni ha confermato che le cose stanno così, diventano sempre
di più così e sono sempre più difficili da gestire, soprattutto per chi ha
l’ambizione e soprattutto il coraggio di cercare di reggerlo garantendo una
relativa coerenza. Ne ha fatto l’esperienza una volta di più Donald Trump,
presidente americano e dunque mondiale in un momento storico particolarmente
complesso e contraddittorio. Mentre stava proseguendo il suo viaggio più
importante ma anche ambizioso da quando è salito alla Casa Bianca, egli aveva
occasioni e doveri più complessi che mai. Sta girando per l’Asia, “fronte” più
“caldo” del momento, sforzandosi di tenere conto della varietà e complessità
del suo giro del mondo inaugurale. Appena conclusa la sua visita nell’amico
Giappone e affrontato il problema e la minaccia della Corea, è arrivato al vertice
dei vertici nella capitale della Cina. A Pechino e dintorni egli aveva e ha
compiti più vasti e “generali”. A Tokio doveva soprattutto rinfrescare una
ormai antica alleanza e rinfrescarne i termini. A Seul doveva parlare
soprattutto una voce di incoraggiamento e di promesse. In Cina è andato
soprattutto con qualcosa, anzi con molte cose da chiedere. Almeno tre. Al suo
collega Xi Jingping un maggiore impegno nell’insistere e allargare le pressioni
sulla Corea del Nord, che non è evidentemente una grande potenza ma è sul
momento e forse in un più lungo domani l’angolo più minaccioso della Terra. Non
ha ambizioni territoriali, ma qualcosa che si potrebbe definire una smania di
potenza, attraverso il possesso dell’arma nucleare che è soprattutto, per ora,
una dimostrazione di potenza o almeno di maturità tecnica e bellica
settant’anni dopo avere scatenato ma soprattutto offerto l’ultima “coda” alla
Seconda guerra mondiale, che è rimasta, quasi settant’anni dopo, l’ultimo Paese
aggressivamente comunista nel mondo, in controtendenza a tutti gli altri Paesi
e governi che si sono nel frattempo sostanzialmente convinti che si cresce
meglio e più in fretta con la pace e con il compromesso.
Il presidente
americano ha il compito di “tenere calme” le ambizioni e le tentazioni del
mondo, soprattutto le più scoperte ed insieme enigmatiche come il regime di
Pyongyang. Per questo egli è comprensibilmente convinto di dovere usare parole
forti e rispondere alle minacce con delle minacce. Ma senza rinunciare a una
sorta di dialogo che non può non coinvolgere la Cina, il cui ruolo è unico e
insostituibile. Xi, che ha visto recentemente il proprio potere personale
ulteriormente ingigantito, può molto di quello che vuole. Il suo incontro con
Trump ha consacrato una svolta storica con pochi precedenti: la rinascita di un
pianeta con due Superpotenze, a chiusura di un relativamente breve periodo in
cui gli Stati Uniti potevano esibirsi come reggitori del pianeta, dopo alcuni
decenni di decadenza della concorrente di mezzo secolo, cioè della Russia.
Molti fatti e
molte parole hanno convinto ormai tutti che la partita non si gioca più fra
Mosca e Washington bensì fra Washington e Pechino. Ciò è un evento di grande
portata storica: la fine dell’Europa come vertice del mondo. Due altri
continenti ne hanno preso il posto. Lo si è visto e ascoltato anche nel dialogo
di vertice fra Trump e Xi, che si sono proposti per un compito che già
esercitano: spartirsi intanto il Pacifico, con le flotte ma soprattutto con la
potenza nei commerci. Il presidente americano l’ha detto e ripetuto al collega
cinese: nel Pacifico c’è posto due. Non c’è alcuna necessità di farsi una dura
concorrenza. Meglio estendere il proprio potere sul Pacifico pacificamente.
Un accordo di
massima pare ci sia già, ma i doveri di leadership dell’uomo della Casa Bianca
non sono esauriti. Il prossimo incontro al vertice sarà con la Russia di Putin
e accadrà in una diversa atmosfera e con meno ambizioni immediate e soprattutto
con meno illusioni. Sono lontani i tempi di un’“amicizia” succeduta quasi di
colpo alla Guerra Fredda e alle sue fasi calde, dall’alleanza nella Seconda
guerra mondiale alla sfida di una lunga era solo nominalmente di pace, con i
suoi “vertici” imposti dalla gravità nei pericoli e di una allora inattesa
nuova amicizia, a tratti perfino cordialità, benefica per tutti ma soprattutto
per l’Europa. I tempi in cui scoprirono il dono della “cordialità” fra i due
Grandi. Anche personale: quando al Cremlino abitava Mikhail Gorbaciov e alla
Casa Bianca Ronald Reagan. Perfino con lo scambio di pacche sulle spalle.
Difficile oggi immaginarlo fra Donald Trump e Vladimir Putin, in qualunque
luogo si incontrino.