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Donald Trump prevedeva


Alberto Pasolini Zanelli

Donald Trump prevedeva già che le novità si sarebbero accumulate sul suo desco in questi giorni. Doveva portare avanti le trattative con la Cina, aumentare il prezzo di sopravvivenza per il regime iraniano, affrontare l’ondata di indignazione di molti americani per il trattamento dei bambini degli immigrati, definito “barbarico” e perfino “sadico”, soprattutto dopo la fotografia dei cadaveri del padre e della figlia annegati su una spiaggia e assistere all’inaugurazione della campagna elettorale democratica per cacciarlo dalla Casa Bianca il prossimo novembre. Improvvisa gli è arrivata addosso ora una “grana” imprevista e imprevedibile: la richiesta di aumentare le tasse. È esattamente il contrario di quello che la maggior parte degli americani desidera senza essere troppo convinta di farcela. I due terzi dei ben 23 politici democratici che si sono candidati alla Casa Bianca e hanno cominciato in queste ore a duellare per strappare la nomination esprimono e ripetono questa proposta tradizionale e in genere sfortunata. L’ultimo presidente ad accogliere questa preghiera fu Ronald Reagan più di vent’anni fa ed era un repubblicano come Trump. Questa volta i due più credibili aspiranti a questa riforma sono naturalmente democratici: un senatore del Vermont, Bernie Sanders e una senatrice del Massachusetts, la signora Elizabeth Warren. La proposta ha suscitato qualche simpatia ma era considerata di difficile attuazione, anche nel caso di una vittoria dell’opposizione e quindi dell’ascesa alla Casa Bianca di uno dei due “rivoluzionari”. Non sarebbe stata, si prevedeva, uno dei temi centrali della campagna elettorale, che molto probabilmente si focalizzerà sulla personalità di un presidente fra i più discussi della storia americana e che comunque è un repubblicano convenzionale che le tasse preferisce abbassarle, soprattutto ai molti ricchi, che sono i suoi più fedeli sostenitori.

Ma adesso è arrivata la sorpresa: il pronunciamento di un gruppo di superricchi che condividono la necessità di difendere l’equilibrio finanziario ma non diminuendo le spese come è tradizione dei conservatori, bensì aumentando gli introiti, ma non a spese di tutti i contribuenti ma sottraendoli ai loro portafogli. L’offerta è controfirmata da nomi famosi, dai Cresi del momento, quelli germogliati dalle innovazioni tecnologiche dei tempi della globalizzazione. La meccanica dell’appello ha trovato già altri sostenitori. Essa prevede un aumento dell’imposta sul reddito dello strato più alto dell’economia americana. Di una misura fra il 2 e il 3 per cento, che non sembra molto ma che in cifra totale è alquanto impressionante. Lo scopo è di equilibrare il bilancio federale senza imporre sacrifici al ceto medio, che finora ha pagato lo scotto dell’incremento della spesa pubblica. L’ultimo “Paperone” a unirsi alla crociata è il più noto filantropo per i Paesi più poveri, Georges Soros.

Trump finora non ha preso posizione, anche perché la scelta non toccherebbe a lui, bensì al Congresso, che nel suo ramo del Senato è controllato dai repubblicani. Ma il discorso è già in tavola, perché almeno due candidati democratici alla Casa Bianca hanno presentato progetti molto simili. Si tratta di Bernie Sanders, in termini difficilmente digeribili agli americani perché presentati come Socialismo, la senatrice Warren invece evita questa definizione e parla unicamente di soldi la sua idea è che non valga la pena aumentare l’imposta sul reddito, anche e soprattutto dei miliardari e sia invece più efficace introdurre un’altra sezione del fisco: non sui redditi ma sui capitali, naturalmente al di sopra di un certo livello. Il 2 per cento sarebbe una grossa cifra, senza distruggere la ricchezza dei ricchi, un pacco di miliardi per diminuire il carico fiscale degli altri, soprattutto del ceto medio che negli ultimi tempi è stato sacrificato.

Il primo esempio che i due senatori hanno portato riguarda il sistema scolastico. In America le scuole private sono numerose, potenti e “severe”: sono aperte quasi solamente ai figli dei molto ricchi, che ci guadagnano una scelta preferenziale nelle università e, una volta laureati, nella scelta dei posti di lavoro. Gli altri ricevono denaro pubblico prestiti anche considerevoli ma che dovranno restituire una volta laureati o sistemati, ciò che li induce a cercare il guadagno più rapido, concentrandosi sui rami più esclusivi e sacrificando il cittadino medio. Una potente “iniezione” dalle tasche dei ricchissimi renderebbe superfluo questo sistema, molto radicato nella storia americana. Se entrerà nella campagna elettorale, la responsabilità di Trump sarebbe palese e concreti i rischi che ne minaccerebbero la rielezione.