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Il governo cambi rotta subito: farlo dopo farà più male


Invertire la rotta o il sacrificio sarà più doloroso
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 06 giugno 2019
In fondo le analisi e le raccomandazioni della Commissione Europea nei confronti dell’Italia non dicono nulla che non fosse già noto: per questo motivo destano molta preoccupazione anche se la decisione finale, come ormai accade per tutti i più importanti atti dell’UE, verrà presa dal Consiglio Europeo a maggioranza qualificata.
A Bruxelles ieri non è stata presa alcuna decisione definitiva: è stata semplicemente scritta una pagella (non solo per l’Italia) e si sono messi nero su bianco i suggerimenti perché il nostro paese possa infine mettersi sulla retta via.
Anche se non vi è ancora una sentenza definitiva la pagella è tuttavia impietosa perché la nostra crescita sta calando molto più di quanto non comporti la diminuzione di velocità degli altri paesi europei, dai quali ci distanziamo sempre di più. Un anno che era stato preannunciato come “bellissimo” ci vede invece perdenti, con uno sviluppo poco superiore allo zero. Il rapporto fra il debito pubblico e il PIL aumenta al di sopra di ogni previsione e ben pochi passi vengono fatti  sulla via delle riforme da tempo raccomandate dalla Commissione stessa: dalle eccessive tasse sul lavoro, alla lotta all’evasione fiscale, alla revisione dei valori catastali, agli investimenti pubblici e privati, alla riforma del processo civile e chi più ne ha più ne metta.
Vedremo come reagirà il nostro governo di fronte a queste contestazioni, anche se le prime reazioni non promettono nulla di buono. D’altra parte per mettere in atto le raccomandazioni europee bisogna che il governo smetta di pensare esclusivamente ai propri immediati interessi elettorali ma al futuro del paese. Per raddrizzare la nostra barca occorre infatti prendere decisioni sgradevoli. Sgradevoli ma necessarie.
D’altra parte credo di avere un’esperienza unica in materia dato che, in entrambi i governi dei quali ho avuto la responsabilità, ho fortemente diminuito il rapporto debito-PIL, portandolo vicino a 100, cioè a un livello simile a quello che ha attualmente la Francia. E il tutto è avvenuto senza traumi, senza aumenti fiscali e senza tagli al welfare. Oggi il rapporto debito-PIL è a 132,2 e, secondo le previsioni della Commissione, arriveremo a 135 nel 2020. Ogni italiano paga oltre 1000 euro per fare fronte a questo debito che, se si continuerà a mettere in atto una politica economica fondata esclusivamente sugli interessi elettorali, non potrà che aumentare.
Anche su questo tema il documento dell’Unione Europea è scontato e impietoso nella sua analisi, sottolineando ad esempio, come è stato infinite volte ripetuto dalle pagine di questo giornale, che la riforma del sistema pensionistico, anticipando l’uscita generalizzata dal mondo del lavoro in un periodo di spettacolare aumento della nostra vita media, rende impossibile il futuro riequilibrio dei nostri conti pubblici.
È vero che si tratta del provvedimento più popolare del governo in carica, come è certo popolare la prima applicazione della “flat tax” alle partite IVA inferiori ai 65.000 euro, anche se tale provvedimento sta frammentando le attività economiche e aumentando in modo voluto l’evasione fiscale dei lavoratori non dipendenti. E ancora più popolare sarà l’iniqua estensione della “flat tax”, destinata a diminuire gli introiti dello Stato e ad aumentare la distanza fra ricchi e poveri.
Mentre con provvedimenti di sana amministrazione e di messa in atto delle riforme anche oggi suggerite da Bruxelles sarebbe possibile iniziare un cammino di lenta diminuzione del debito pubblico che porterebbe automaticamente ad una riduzione del peso degli interessi. Si procede invece inesorabilmente verso l’inevitabile necessità di prendere poi decisioni radicali. Che si tratti di un cospicuo aumento dell’IVA, di un’imposta patrimoniale  o di qualche altra drastica misura lo si vedrà in futuro. È invece già certo che più si tarda ad intraprendere la via del risanamento più pesanti dovranno essere le inevitabili e dolorose decisioni future.
Resta comunque l’interrogativo sulla compatibilità fra le dichiarazioni di un governo che vuole durare per cinque anni e batte invece una strada che rende impossibile questa durata. A meno che la Lega, che tanto si è rafforzata in questo periodo, non pensi solo a sbarazzarsi dei suoi indeboliti coinquilini e voglia fare precedere il confronto elettorale rispetto all’inevitabile momento della resa dei conti.
Per un politico propenso più a vincere sul presente che a calcolarne le conseguenze future, questa può anche sembrare una scelta logica ma è bene tenere presente che, a prescindere da eventi peggiori, il futuro arriva per tutti.
Mi auguro quindi che, dopo le prime reazioni stizzite, i nostri governanti accolgano le indicazioni della Commissione come un utile consiglio per presentarsi difronte alla decisione finale del Consiglio Europeo con i cambiamenti necessari a correggere la rotta profondamente sbagliata lungo la quale l’Italia sta ora camminando. Presentandosi almeno con le correzioni sufficienti per evitare che il nostro paese si infranga contro gli scogli.