Alberto Pasolini Zanelli
L’America e il mondo potrebbero
correre nei prossimi giorni verso uno dei più rischiosi passi dell’era
successiva alla Guerra Fredda. Non risuona un allarme diretto dagli altoparlanti
delle Superpotenze, ma una, quella rimasta, è impigliata in un groviglio
politico domestico da cui i detentori del massimo potere provano la tentazione
di districarsi con iniziative anche militari. Anche perché, dopo diversi gesti
dimostrativi, questa volta potrebbero scontrarsi con un regime contorto e in
qualche modo sempre allarmante come l’Iran, il cui “padrone” reale, l’ayatollah
Khamenei, agisce o reagisce nel modo più dannoso per il suo Paese e pericoloso
per il complesso mondiale. L’ultimo gesto attribuitogli – e molto probabilmente
non desiderato dal settore “democratico” del potere a Teheran - pare essere una
serie di gesti provocatori nelle acque del Medio Oriente. L’ultimo, per ora, è una
curiosa operazione di “sminamento” e di altri possibili “agguati” contro
petroliere e altre navi in transito battenti bandiera di Paesi neutrali e
assetati di petrolio come il Giappone. Il premier di Tokio, Abe , protesta ma
pare anche chiedere soccorso a Trump, che potrebbe non vedere l’ora di alzare
la temperatura della crisi, appoggiandosi forse alla “bonaccia” che negli
ultimi tempi ha creato o almeno esibito, in modo più spettacolare con la Corea
del Nord ma anche altrove, ad esempio abbassando i toni a proposito della
guerra civile che pare incombere sul Venezuela.
L’Iran sarebbe dunque la eccezione
negativa, visibile anche perché colma di precedenti. Ma ad “alimentare” questa
tensione sono soprattutto i problemi interni. Quasi ogni giorno a Washington c’è
uno scontro politico: Casa Bianca contro Congresso, legali contro legali,
almeno un paio al giorno di dimissioni o licenziamenti. Se ne va anche la
portavoce del presidente, che cerca un’alternativa in Congresso. La contesa più
importante in questi giorni e settimane è però quella con la Cia e con il Fbi,
che Trump taccia di incompetenza e i cui dirigenti, passati e presenti, si
accostano a quella ala della magistratura che insiste nelle indagini
incoraggiata dagli ambigui risultati delle grandi inchieste come quella
conclusa ambiguamente da Moeller. I repubblicani, intimoriti forse ancora più del
presidente, gli restano fedeli. Fra i democratici continua a crescere la
tentazione dell’impeachment. A sconsigliarlo è quasi solo il loro leader
attuale Nancy Pelosi, che ribatte che sarebbe meglio attendere, per
“distruggere” Trump, la scadenza elettorale del novembre 2020, anche
nell’interesse nazionale. Contro la ribadita saggezza di Lady America si
erge ora un nuovo argomento: lasciato alla Casa Bianca fino al cambio della
guardia del gennaio 2020, Trump potrebbe approfittare di quei diciotto mesi per
completare la “epurazione” che sta già conducendo nelle più alte cariche dello
Stato, a cominciare dalla Corte Suprema, riempiendole di suoi “fedeli”,
destinati a “durare” per molte legislature.