Alberto Pasolini Zanelli
Proibiti per altri sei mesi i viaggi in Europa agli americani. E viceversa. Anche le “autorità aeree” del Vecchio Continente hanno fatto, anzi perfezionato, l’elenco di coloro che potranno arrivare dall’Europa agli Stati Uniti senza formalità che prendono tempo e fatica. Il comitato che ha redatto la lista con cui è stato concesso il visto a quindici Paesi, con eccezione di Stati Uniti, Brasile e Russia, che dovranno affrontare la burocrazia di Bruxelles. L’una e l’altra decisione riflettono solo in parte una scelta politica o storica, ma soprattutto le pressioni dei medici e degli scienziati, che sono in questo periodo particolarmente delusi della “velocità” della “normalizzazione” della catastrofe di nome Covid. Il più citato fra gli specialisti mondiali è anche il più scettico sugli sviluppi futuri e soprattutto sui tempi di una guarigione planetaria. Ha ripetuto l’altro giorno che i sei mesi in cui tanti si rifugiano sono troppo pochi e almeno un anno ci vorrà. Ha spiegato una volta il perché un critico americano crede di averlo potuto comparare con il tipo di attesa nel medioevo a problemi di questa dimensione: “Stiamo tornando al quattordicesimo secolo”. Il più aggressivo critico di Anthony Fauci è un senatore repubblicano, Rand Paul, che preferisce dare retta alle ricette di un economista e libertario austriaco morto ventotto anni fa e ha concluso con una frase breve e radicale: “Almeno una volta al giorno ascolto Fauci che elenca le cose che non si possono fare. Devo ancora ascoltarlo parlare di una speranza”.
Temo che dovremo aspettare, almeno gli americani, un autoapplauso dello scienziato e dedicarsi nel frattempo ad altre “minacce” o almeno problemi di differente genere. Il più attuale è nato in Afghanistan, dove quasi contemporaneamente alla conclusione di un accordo che dovrebbe porre fine a questa guerra decennale, il governo americano annuncia di avere scoperto un traffico di armi fra i talebani e il governo russo, clandestino e negato, ma di cui il Pentagono si dice convinto, dal momento che la strategia di Trump nei pochi mesi che ormai attendono le elezioni è un ulteriore scambio di favori con Vladimir Putin, anch’egli in attesa del permesso dal Parlamento di Mosca di una ulteriore rielezione, che porterebbe il suo totale attorno a trent’anni, in confronto a un massimo di otto anni per i politici americani. Il traffico dovrebbe svolgersi apertamente e ufficialmente, cosa cui Putin tiene in modo particolare perché la collaborazione da parecchi anni inaugurata da Ronald Reagan non è una concessione americana ma un accordo nell’interesse di entrambi e anche un monito alla Cina, che si è rafforzata negli ultimi anni in modo impressionante e che soprattutto cerca di estendere la fascia delle proprie alleanze con un certo numero di Stati arabi che soverchierebbero l’Afghanistan e dovrebbero estendere novità con l’Iran non soltanto commerciali, ma anche una “distensione” politica e indirettamente militare in modo da incrinare l’attuale fase del “dialogo” fra Washington e Mosca. Possibilmente prima delle elezioni Usa del 4 novembre, le cui previsioni sono finora inquietanti per Trump. Lo dicono e lo ripetono i sondaggi, anche ma non soltanto delle primarie che segnalano una crescente ondata di scetticismo nei confronti dell’attuale presidente. E non sono soltanto previsioni: l’ultimo voto per la scelta di uno dei due senatori del Kentucky ha visto emergere vittorioso il candidato democratico, che ha portato via il seggio di un candidato repubblicano molto legato a Trump.
Ci sono anche coincidenze anche formalmente inattese: Mary Trump, nipote del presidente, ha annunciato di avere scritto un libro di critica alla famiglia. Ma il più anziano parente ha provveduto subito a bloccarne la distribuzione per almeno un mese, fino a fine luglio, quando la fila delle primarie sarà quasi completa.
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