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Le quattro mosse per rimettere in moto il Paese


 

Statali, la battaglia anacronistica dei dipendenti pubblici

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 22 novembre 2020

Da molti anni si deve purtroppo constatare che, all’interno di quasi tutti i paesi del mondo, le disparità economiche sono andate aumentando e, nonostante le nobili riflessioni etiche e accademiche, queste disparità hanno continuato ad aumentare.

Poi è arrivato il Covid-19.

Anche se non si sa ancora quando questa pestilenza se ne andrà, conviene riflettere sulle già visibili conseguenze che essa produrrà proprio nei confronti della distribuzione del reddito e della ricchezza. Non intendo ripetere quanto è stato detto sulle tragiche perdite immediate che già constatiamo, sul crollo dei redditi, sull’aumento della disoccupazione e su tutti gli altri danni dei quali ogni giorno siamo testimoni.

Vorrei invece ragionare un attimo su come cambieranno le cose una volta risolto il problema sanitario e in che condizioni saremo quando, finalmente, il virus se ne sarà andato, lasciandoci in eredità nuove tecnologie e un radicale mutamento nel nostro modo di lavorare.

 

Le nuove tecnologie, che si espandono con moltiplicata velocità, richiedono un robusto numero di specialisti sia nel processo di invenzione che nel processo di applicazione: un numero molto superiore a quello di oggi, ma comunque di moltissime volte inferiore rispetto al numero di coloro che saranno obbligati a fare lavori elementari e standardizzati.

La società diverrà perciò sempre più polarizzata, con una progressiva riduzione delle categorie intermedie: un fenomeno già ben conosciuto, ma che sta ogni giorno accelerando la propria diffusione. Pensiamo solo alla divaricazione provocata dal commercio a distanza: migliaia di specialisti di software in più ma con fattorini, facchini e addetti alla consegna decine di volte più numerosi. Ancora più numerose sono le perdite dei posti di lavoro causate dall’impressionante ritmo di chiusura dei negozi tradizionali, un tempo simbolo di una classe intermedia che contava su un futuro in qualche modo garantito e tranquillo.

Questo è solo un esempio di quanto sta avvenendo in tutte le imprese industriali, nelle banche e, con diversa intensità, in quasi tutti i settori della nostra società.

Ugualmente grandi sono le conseguenze del cambiamento del modo di lavorare. Il lavoro a distanza è giustamente ritenuto uno strumento di progresso. Rende meno gravosi gli spostamenti, rende meno pesante l’organizzazione della famiglia e permette orari più flessibili. Nello stesso tempo, tuttavia, l’esperienza dimostra che esso rende più fragile il rapporto di lavoro che, con il passare del tempo, tende in grande parte a trasformarsi in precariato o in cottimo.

 

Questa poderosa avanzata della tecnologia sta, nello stesso tempo, creando imprese che, per potere, per ricchezza e per dimensione, non hanno precedenti nella storia. Basti pensare che la quotazione in borsa della sola Apple equivale al Prodotto Nazionale Lordo dell’intera Italia e l’aumento di valore delle azioni Amazon, durante i primi mesi della pandemia, si avvicina ai due terzi dell’intero programma di aiuti decisi dall’Unione Europea.

Quando quindi avremo arrestato la diffusione del virus e saremo fuori pericolo, il problema sarà trovare gli attori e gli strumenti per porre un argine non solo ai vecchi squilibri, ma anche alle enormi nuove disparità che questa pandemia sta preparando. La situazione si sta aggravando a tale punto che, se non agiremo in fretta per contrastare questi squilibri, ci troveremo di fronte a insanabili rotture della nostra convivenza civile.

Questa necessaria ricucitura non può essere solo affidata alle forze di mercato: esse possono solo accompagnare le evoluzioni negative che abbiamo in precedenza ricordato. Il riequilibrio lo può preparare unicamente la politica che, però, non ha né la forza né la volontà di metterlo in atto.

Per limitare il nostro sguardo all’Italia, le opposizioni, fingendo di credere nelle esclusive forze del libero mercato, si rifugiano nella virtù salvifica della diminuzione delle imposte.

A loro volta le forze di governo distribuiscono le risorse “a pioggia” cercando di accontentare tutti, senza avere la forza di preparare il futuro. Di fronte alla mancanza di un disegno, tutte le richieste e tutti gli interessi assumono lo stesso diritto di essere rappresentati. Sono stato a questo proposito sorpreso dalla posizione assunta dai sindacati nei confronti del pubblico impiego.

 

Pur ritenendo che esso sia l’asse portante del paese e pur ritenendo che i suoi livelli di remunerazione siano generalmente inferiori a quelli degli altri paesi europei, non possiamo negare che, nella tragedia in corso, i pubblici dipendenti siano relativamente più protetti e garantiti di tante altre categorie. Anche perché non può essere certo trascurato il fatto che il lavoro a distanza, adottato in larga misura nel settore pubblico, sta dimostrando soprattutto la sua distanza dai cittadini.

Questi mesi di pandemia attestano che la nostra politica, terminata la fase dei sussidi emergenziali, non è in grado di impostare alcun argine a quel processo di crescita delle disparità che fatalmente aumenterà nel periodo post-pandemia.

Chiunque avanzi l’ipotesi di chiedere un sacrificio a chi ha di più o a chi ha tratto giovamento dalla crisi, viene seppellito dall’accusa di volere introdurre la patrimoniale o, addirittura, il socialismo di Stato.

 

La promessa degli aiuti europei è diventata un anestetico che non solo toglie ogni dolore, ma viene utilizzata come alibi per rinviare scelte invece non rinviabili nel campo degli investimenti, della preparazione delle risorse umane, della rivoluzione della sanità di base e della impostazione di un minimo di giustizia fiscale.

Le infinite mediazioni e i confronti quotidiani fra lo Stato e le Regioni hanno fatto il loro tempo: non solo per gli italiani, ma anche per l’Italia c’è urgente bisogno di un vaccino.

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