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Stanno licenziando Topolino



 Mickey Mouse



Alberto Pasolini Zanelli

Stanno licenziando Topolino. Gradualmente e attraverso i suoi creatori. Lo ha annunciato la Disney, che direttamente ha mandato in pensione anche l’ombra amata del suo fondatore, Walt. Attraverso diverse di migliaia di impiegati della “multinazionale” che porta il suo nome e deve la sua gloria a questo spiritoso animaletto. È una notizia che potrebbe far sorridere, ma genera invece tristezza. Con Mickey Mouse rischia così di spegnersi una delle figure d’America più diffuse e popolari nel mondo intero. Ininterrottamente un volto e una gloria del ventesimo secolo, coinvolto anche nella Seconda guerra mondiale, allorché i Paesi dell’Asse, Italia e Germania, l’avevano soppresso o almeno “incarcerato”: non lo avremmo importato più fino alla sconfitta.

Anche questa volta le forbici della censura segnalano una sconfitta, questa volta anche e soprattutto americana. Il nemico è troppo potente e, fino adesso, invincibile. Tutta l’America (e in tanti altri Paesi del pianeta) deve difendersi dal virus anche, soprattutto, stringendo i cordoni della borsa, ricorrendo ai licenziamenti. Ma sono i licenziati poi che rimangono senza dollari, che devono ricorrere, di conseguenza, ai risparmi. Chiudono i negozi in tutte le città degli Stati Uniti. Si comprano meno bistecche e quindi meno giocattoli. Inoltre i due eroi di Disney (Topolino e Paperino) sono nati di carta e hanno dovuto sacrificarsi per sopravvivere all’ondata dell’epoca dei giochi elettronici.

Alla Disney hanno aspettato un po’ di più degli altri prima di firmare un documento di resa. Forse è solo un armistizio, ma pochi ci credono. Per ora, passato il Capodanno, manderanno a casa 32mila collaboratori (su un totale di oltre 223mila a fine 2019, più del 10 per cento della forza lavoro), 4mila in più rispetto alla cifra preannunciata a fine settembre, come conseguenza di un crollo del fatturato, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, di circa l’85 per cento. Adulti senza lavoro, bambini senza un caro giocattolo di carta. Peggio ancora, hanno già cominciato a rinunciare anche ai parchi, ai loro ingressi in cui Topolino li accoglieva e li guidava a visitare Disneyland. Già li hanno più o meno esclusi dalle scuole, radici dello sviluppo culturale oltre che dei paradisi della fantasia. I bambini come gli adulti: sono rari ormai gli annunci sonori della chiusura di fabbriche e negozi. Pare che sia una triste necessità, cui resistono soprattutto gli uomini politici, gli amministratori, coloro i quali hanno il dovere di nutrire gli altri adulti e consolarle i piccoli. Il più illustre e autorevole è il governatore dello Stato di New York, l’italoamericano Andrew Mark Cuomo, che ha trovato una formula quasi irresistibile, narrando che la sua vecchia mamma “è malata e ha bisogno di guarire in tempo”.

È passato già molto tempo da quando l’America e il mondo sono stati costretti a creare una parola relativamente nuova: Coronavirus. Molte aziende, pur di non licenziare, hanno fatto un ricorso massiccio allo smart working. Ma Topolino, a Orlando, non può farlo. Altre si danno da fare e ultimamente hanno fatto giungere qualche buona notizia: l’“invenzione” di cure inedite, alcune riparatorie, altre preventive. Sono queste ultime a suscitare le massime speranze e dunque il più caldo applauso. Ma non sono tutte perfette e la fretta non sempre aiuta. Una di quelle più promettenti, nata in America, aveva appena annunciato di essere riuscita ad accorciare in grande misura i tempi per la produzione del vaccino. Si trattava di un errore dovuto, hanno ammesso, ad una “distrazione”. La Disney non ha questa colpa, ma anche così Topolino sta dicendo addio alle passeggiate dei suoi fans, bambini e adulti. O, nella più incoraggiante delle ipotesi, a sospenderle.

Pasolini.zanelli@gmail.com

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