"Dai, Oscar, andiamo a bere e a sentire un po' di buona musica in quel locale li sul Lungarno.."
Questo l'invito pressante dell'amico americano con il quale avevo condiviso il primo Vespucci Tour, organizzato dal Rotary club di Firenze del 1964 negli Stati Uniti.
Si era rifatto vivo e siccome era un tipo un po' appiccicoso ma simpatico mi sono reso disponibile per passare con lui una serata in un night-club fiorentino.
Non è che ne avessi molta voglia perché la piena dell'Arno stava aumentando pericolosamente dopo quei mesi di pioggia continua che avevano ammosciato ogni ottimismo dei vent'anni.
Era quasi mezzanotte, il mio amico si era sparato cinque whisky e barcollava. Eravamo riusciti a sconfiggere i numerosi tentativi delle ragazze del locale che ci spingevano a ordinare champagne.
Per fortuna il mio amico americano aveva trovato una camera in un albergo poco distante in via dei Bardi dove l'ho accompagnato sorreggendolo perché barcollava come un pendolo.
Dopo averlo mollato nella hall dell'hotel mi sono diretto verso il Ponte Vecchio per tornare a casa. Il mio appartamento era in via Torta, dice che il nome derivava dal disegno di un remoto teatro romano. Comunque una strada stretta in cui rimbombavano tutti i rumori anche i più tenui ed io abitavo al terzo piano in uno studio miserello e mi sentivo tutti quei rumori specialmente la mattina quando si mettevano in moto tutte le attività artigianali della zona.
Attraversando il Ponte Vecchio rimasi sorpreso per la gente che si era soffermata a guardare giù il fiume che ormai aveva raggiunto la volta massima delle arcate. Quello che impressionava erano le vibrazioni dell'antica struttura che era riuscita a sopravvivere persino alla furia delle armate naziste.
Dopo 10 minuti di camminata ho raggiunto via Torta dove il mio appartamento si trovava al terzo piano di un palazzo costruito su una struttura del 1500.
Vuoi per i whisky bevuti, vuoi perché quella era stata una giornata pesante al lavoro mi sono sbarazzato dei vestiti e mi sono infilato sotto le coperte piombando in un sonno pesante.
Nel sogno riaffioravano le immagini del fiume che si infrangeva contro le antiche strutture del Ponte Vecchio, poi la gente assiepata alle spallette del fiume a vedere quell'acqua travolgente che arrivava quasi all'orlo della strada, 'Madonna mia qui viene fuori tutto'… dicevano ma con un tono di voce quasi sommesso senza gridare e questo rendeva ancora più drammatico il loro dire anche se quasi coperto dal fragoroso rumore della piena dell'Arno che stava portando un'infinità di alberi e cose contro le strutture dei ponti.
Questo avevo visto e questo mi rimbalzava nella mente in quel sogno sgangherato in gran parte motivato dall'acidità di stomaco. Forse sarebbe stato meglio prima di mettermi a letto buttare giù un po' di acqua con due cucchiaini di bicarbonato.
Ma in quel sogno mi sentivo sorpreso per quello sciacquio di acqua che mi arrivava alle orecchie dal basso e non era l'urlo impetuoso della massa d'acqua del fiume.
E poi un silenzio strano non interrotto da alcun rumore vero della vita fiorentina dell'area di Santa Croce che si stava risvegliando.
Ma quel sogno non era un sogno e me ne sono reso conto una volta che l'imbambolamento del sonno agitato aveva lasciato il posto ad un risveglio con una atroce patina in bocca perché il fegato proprio non funzionava.
Un silenzio strano e quello sciacquio.
Mi sono alzato e ho aperto una finestra.
Via Torta era diventata un canale veneziano sommersa da una massa liquida maleodorante per i rigurgiti delle fogne, per la nafta sparsa, per tutte le altre porcherie che il fiume, ormai esondato stava trascinando su quella parte di Firenze che aveva invaso nella notte.
Stando al terzo piano quella fiumana era arrivata quasi sotto il mio pavimento all'altezza di sette metri.
Chi stava ai piani inferiori si era trasferito di sopra dagli altri inquilini che potevano ospitarli. Da me nessuno aveva bussato perché erano sicuri che non ci sarebbe stato posto in quel piccolo studio.
Saranno state le sei del mattino e altre finestre si erano ormai aperte e le donne conversavano sommessamente con grande preoccupazione perché quell'assenza di rumori abituali che ti erano entrati da anni nella testa e facevano parte del tuo modo di sentirti, adesso erano spariti lasciando spazio a quella lugubre atmosfera. 'Adesso che facciamo ?', questa era la frase che veniva scambiata più volte tra le finestre.
Il giorno dopo sono salito all'ultimo piano insieme ad altri che conoscevo di sfuggita.
C'erano delle finestre aperte; siamo saliti sul tetto dell'edificio. Piazza Santa Croce invasa dall'acqua, il monumento a Dante con il poeta che sembrava sollevare la tonaca per non farsela bagnare, tutte le auto compresa la mia coperte dall'acqua che sarebbe diventata fango rattrappito dopo qualche ora.
Ho scattato delle foto che poi avrebbero fatto il giro del mondo pubblicate da tanti giornali.
Siccome anche nelle tragedie esiste sempre un momento di ironia il giornale radio della Rai annunciava che la situazione a Firenze stava....tornando alla normalità.
Dopo due giorni l'acqua si era ritirata lasciando quella metà di Firenze invasa dal fango.
Enrico Mattei, il mitico direttore de La Nazione, era riuscito a far stampare copie del suo giornale in una azienda rimasta all'asciutto.
Animato da un sacro fuoco mi ero avventurato fuori di casa e dopo infinite vicissitudini, lottando col fango avevo raggiunto la sede della società nella quale lavoravo in Borgo Pinti e insieme a un gruppo di uomini di fatica avevamo cominciato a spalare per far finta di ricominciare a vivere.
Che sensazione incredibile il dover prendere a picconate gli armadi del nuovo centro IBM che era stato inaugurato da poco.
Una sera tornando a casa calzando gli stivaloni alti da pesca che ero riuscito ad acquistare di seconda mano, ho illuminato con la mia lampada portatile le cassette della posta nell'androne di ingresso. Un gesto questo assolutamente senza senso perché il fango aveva tappato tutte quelle cassette della posta. E poi la luce elettrica ancora non era stata ripristinata e chissà quando l'avrebbero fatto perché c'era pericolo di corto circuito e di restare fulminati.
Stranamente sulla fessura del mio box ho intravisto alla luce della Pila un qualcosa di bianco.
Avevano ripristinato il servizio di consegna della posta, pensate voi in quelle condizioni, e quella era una lettera scritta da Franca che era andata in Messico con la sorella a trovare uno zio.
La storia con quella ragazza, conosciuta qualche anno prima a Grado quando suonavo con la mia band, era molto strana.
Eravamo rimasti in contatto epistolare ma si trattava di qualcosa di molto misterioso perché le sue lettere o le mie cartoline dalle località dove mi venivo a trovare per la mia professione (grazie a Dio avevo lasciato la musica ed ero riuscito a trovare un mestiere 'normale') si incrociavano automaticamente, anche se ci scrivevamo di rado.
Franca era la fanciulla alla quale avevo detto "vuoi essere la mia ragazza per 15 giorni ?", al termine del mio contratto musicale con il locale di Grado.
Dopo quella lettera trovata nel box invaso dal fango ci siamo rivisti e una sera in una pizzeria prima di riaccompagnarla alla stazione per riprendere il suo treno per Udine, ho detto a quella splendida biondina che sarebbe stato bello sposarsi.
Ha detto di sì e ha indicato la data del 18 febbraio che aveva già pianificato.
Per chi preferisce sentire e guardare
https://youtu.be/ieHboC-ZROQ
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Patricia Bordoli Brizzi
La storia di Oscar sono in parte anche mie memorie, bravo e grazie
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Caro Oscar, Buon Giorno,
Grazie per le photo. L'alluvione di Firenze. Siamo venuti pochi giorni dope per aiutare con il pulizio.arrivederci, Harold
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Pensa che proprio sul Sole 24 Ore di ieri c’era un articolo intitolato così:
“Firenze, 154 milioni di fondi non spesi dell’alluvione 1966”: una vergogna nazionale!
Lucilla (Roma)
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Avvincente riassunto di quella tragedia, al contempo in qualche modo sdrammatizzata dalla azzeccata descrizione di Dante che solleva la veste.
Grazie, caro Oscar, molto bello.
Io stavo a Milano e frequentavo la terza liceo ( classico). Eravamo tutti sconvolti.
Alcuni dei miei amici “ più grandi” - già all’ università- partirono immediatamente per Firenze : gli angeli del fango…
Anni dopo, all’ inizio del mio percorso professionale, conobbi una docente universitaria fiorentina ( era una single di mezza età ) con cui feci quasi amicizia .
Una volta mi raccontò che quella sera maledetta lei - rientrando miracolosamente a casa , come hai raccontato Tu- vide l’ Arno che PROPRIO IN QUEL MOMENTO «si portava via tutta la sua vita » .
Abitava , Renata, su un lungarno ( non ricordo quale ) , a un piano basso.
Il fiume aveva sfasciato le finestre dell’ abitazione invadendola, e lei vedeva i suoi mobili , i suoi libri, insomma tutte le sue cose , galleggiare allontanandosi nell’ acqua scura.
Era rimasta in istato di shock per anni.
Era una donna intelligente , si buttò nel lavoro.
Ma io credo che lo shock non le sia mai davvero passato, sino alla sua fine.
Paola LunghiniGrazie ! Un bellissimo racconto coinvolgente e commovente Ricordo bene quei giorni da Fiorentina trapiantata a Roma
Silvia
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Caro Oscar,
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