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Se Polonia e Ungheria non la piantano, rischiano di restare fuori dal Recovery Plan


Next Generation Eu: l’accordo obbligato per riunificare l’Europa

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 29 novembre 2020

Il braccio di ferro tra Polonia e Ungheria con le Istituzioni europee e gli altri 25 governi, sta andando avanti senza ancora una soluzione. Al di là dei complicati aspetti tecnici, i termini del conflitto sono molto semplici.

Come tutti sappiamo, a partire dalla scorsa estate, è stato apprestato dalla Commissione (e poi adottato dal Consiglio Europeo) un progetto politico chiamato Next Generation EU: un’iniziativa dedicata ad aiutare i paesi europei pesantemente provati dal Covid-19. Il progetto, fin dall’inizio, prevedeva che ne potessero beneficiare solo i paesi che si impegnavano ad applicare i principi fondamentali della democrazia. Si trattava di una condizione sostanzialmente scontata, in quanto non faceva che ribadire le regole che stanno alla base dell’Unione Europea. Condizione così scontata da essere accettata da tutti i paesi aderenti, Polonia e Ungheria compresi.

Nello stesso tempo, in modo sempre più clamoroso, i governi di questi due paesi hanno però messo in atto misure interne in contrasto con alcuni dei principi fondamentali dell’Unione. Si tratta soprattutto della libertà dei media, dell’indipendenza della magistratura e di altri fondamentali diritti dei cittadini.

Il Parlamento di Strasburgo ha reagito ribadendo con larghissima maggioranza, e in termini inequivocabili, che il rispetto dei diritti fondamentali della democrazia doveva essere una condizione concreta e assoluta per l’erogazione dei fondi del Next Generation EU. La reazione dei governi di Polonia e Ungheria non si è fatta attendere e si è espressa ribadendo che ogni paese è sovrano nello stabilire le regole della propria convivenza interna, aggiungendo che la decisione europea non si fondava su elementi di diritto, ma solo su prese di posizioni discriminatorie nei loro confronti.

Queste affermazioni di principio sono state rese esplosive da un’azione concreta dei due paesi, volta a bloccare l’intero funzionamento del Next Generation EU. Questo è possibile perché l’approvazione del bilancio europeo, che contribuisce alla raccolta delle risorse necessarie per mettere in atto il progetto, esige un voto unanime da parte di tutti i paesi membri. Il debito pubblico, generato dalla nuova politica di solidarietà, deve essere infatti accompagnato da un aumento della dotazione del bilancio europeo.

La Commissione, di conseguenza, ha proposto un aumento delle risorse del bilancio comunitario dall’1,2% al 2% del Prodotto Lordo Europeo. Tutto questo esige non solo l’approvazione unanime del Consiglio Europeo, ma anche il voto positivo sia del Parlamento Europeo che di tutti i parlamenti nazionali. Nonostante l’impossibilità di superare queste prove, Polonia e Ungheria hanno dichiarato di valersi del diritto di veto in loro possesso.

Come risposta il Parlamento Europeo, a maggioranza schiacciante, ha ribadito che l’appartenenza all’Unione non si fonda su pur comprensibili interessi economici, ma trova la sua ragione d’essere nella comune accettazione delle regole democratiche.

Ancora fermo su queste posizioni, lo scontro sta andando avanti senza concrete prospettive di mediazione: la grande operazione di solidarietà creata per uscire dalla crisi e riprendere la crescita è quindi formalmente bloccata. A questo punto occorre considerare che tra i maggiori beneficiari del progetto europeo troviamo proprio Polonia e Ungheria che si trovano in grave difficoltà economica e possono sperare di uscirne solo se aiutati dall’Unione che, tuttavia, senza approvazione del bilancio, non può affrontare nuove spese.

La tensione è arrivata ad un punto tale che è stata addirittura autorevolmente avanzata la proposta di escludere Polonia e Ungheria dal Next Generation EU, che dovrebbe essere quindi portato avanti, con una decisione intergovernativa, dagli altri 25 paesi.

Si tratta ovviamente di una proposta estrema, alla quale la Cancelliera tedesca fortemente si oppone. Questo non tanto per evitare il rischio di una nuova Brexit, che i due paesi non sono in grado di mettere in atto, quanto per non creare una tensione certamente dannosa per l’Unione e, per di più, con due paesi così strettamente legati alla Germania.

L’unica possibile via d’uscita deriva dal fatto che, come è ben noto, tutte le grandi prese di posizione in politica estera nascono dalla politica interna. Nonostante le dichiarazioni roboanti dei loro leader, le opinioni pubbliche di Polonia e Ungheria cominciano a dimostrare qualche perplessità su un confronto sempre più difficile da vincere. Inoltre i politici oltranzisti, come il Ministro della Giustizia polacco, si trovano di fronte alla prospettiva di un futuro peggiore dato che, per entrambi i paesi, non vi è alternativa all’Europa.

Resta inoltre sempre valida la considerazione che, quando la realtà delle cose comincia a farsi valere, si trovano accettabili modalità di applicazione anche nelle questioni di principio. Penso quindi che, nella prossima riunione del Consiglio Europeo, si giungerà al necessario accordo, purché si tenga sempre fermo il fatto che, mantenendo il principio dell’unanimità, non solo non si governa l’Europa, ma non si gestisce nemmeno un condominio.

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