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Le mosse di Biden e i rinvii europei
Le mosse di Biden: la nostra economia e la spinta degli Usa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero
Nella scorsa settimana i leader europei avevano, per la millesima volta, programmato di affrontare i problemi dell’emigrazione e del Mediterraneo, ma ancora per la millesima volta, la discussione è stata rinviata: la pur necessaria urgenza di affrontare il delinquenziale dirottamento dell’aereo verso la Bielorussia è apparsa come la ragionevole e quasi provvidenziale giustificazione per un ulteriore rinvio.
Nella speranza che questo rinvio sia di breve durata cerchiamo però di riflettere su cosa è successo e su cosa sta nel frattempo succedendo nel così detto “mare nostrum”.
Il punto di rottura dei precedenti equilibri parte dal disinteressamento degli Stati Uniti nei confronti del Mediterraneo. Il governo americano, sia con le presidenze democratiche che repubblicane, ha progressivamente concentrato la sua attenzione solo su Israele e sulla Palestina.
Sappiamo quanto, su questi temi, si sia arrivati vicino a un accordo tra Il primo ministro israeliano Barak e il leader palestinese Arafat a Camp David nel 2000, e sappiamo come le successive evoluzioni politiche abbiano portato al fallimento di ogni negoziato e a ripetuti episodi di violenza, fino alle tensioni recenti che, partite da Gerusalemme, hanno dilagato in tutta la Palestina, arrivando al bombardamento di Gaza.
L’attenzione esclusiva degli USA nei confronti di Israele partiva naturalmente dalla tesi che il vuoto sarebbe stato riempito da una progressiva presenza europea in tutta l’area del Mediterraneo.
La mancanza di una politica comune dei paesi europei ha reso invece impossibile questa presenza. Il vuoto, almeno per l’aspetto militare, è stato riempito dalla Turchia e dalla Russia. Più limitata la presenza russa, che si è soprattutto diretta verso il tradizionale obiettivo della Siria, a cui ha aggiunto un’inattesa ed improvvisa presenza in Libia.
Più ampio invece il progetto turco, in quanto la presenza della Turchia non solo si accompagna a quella russa in Siria e Libia, ma si estende attorno a Cipro e si dirige con particolare intensità in tutta l’area dei Balcani, dall’Albania fino alla Bulgaria.
Naturalmente mentre la presenza russa è quasi esclusivamente militare, la Turchia può contare su un fervore imprenditoriale che la rende ormai protagonista in molti settori, dall’energia al turismo, dalle industrie manifatturiere alle opere pubbliche.
Lo “spazio vuoto” del Mediterraneo è stato tuttavia occupato non solo da entità statuali prima presenti solo marginalmente, ma anche da una specie di “guerra ibrida” che, consapevolmente o inconsapevolmente, gestisce i fenomeni migratori in modo tale da destabilizzare sempre di più l’Europa.
Non si tratta di vere e proprie presenze militari, come quelle che hanno visto come protagoniste la Turchia e la Russia, ma di crescenti azioni che vedono combinati fra di loro disegni politici e interessi criminali. Azioni che spingono gli emigrati dal Marocco verso la Spagna, dalla Tunisia e dalla Libia verso l’Italia e dalla Turchia verso la Grecia, ancorché regolati con gli accordi economici firmati con l’Unione Europea.
Nel frattempo gli Stati Uniti sono sempre più assorbiti dalla politica israeliana, nel complicato obiettivo di gestire l’eredità di Trump, che ha sempre proclamato di volere perseguire la formazione di due Stati, ma che ha fatto di tutto perché questo non potesse avvenire.
Biden ha riaperto il dialogo con i palestinesi, ma si è dovuto limitare, almeno fino ad ora, a un aiuto economico senza poter offrire alcuna soluzione di carattere politico. Soluzione ancora più complicata per il fatto che anche il problema palestinese sta contribuendo a dividere l’opinione pubblica americana, dopo il periodo in cui Netanyahu aveva legato Israele in modo esclusivo al Partito Repubblicano, suscitando crescenti reazioni nei non pochi cittadini di origine araba.
D’altra parte la soluzione dei due Stati resta sempre più difficile, dato che ormai gli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi hanno superato i 400.000 abitanti e Gerusalemme continua ad espellere i palestinesi, mentre la politica interna israeliana si presenta oggi così complicata da rendere impossibile ogni prospettiva di accordo.
Tutto questo ci porta a concludere che, anche nel futuro, il presidente americano dovrà continuare a concentrarsi in modo sostanzialmente esclusivo sul problema palestinese ma, a differenza del suo predecessore, farà pressione nei confronti dei paesi europei perché esercitino un’azione comune, in modo da porre riparo agli squilibri che si sono generati in passato e che danneggiano gravemente la politica americana.
Cercherà quindi di mettere un argine alle azioni parallele, anche se non sempre coordinate, di Russia e Turchia e al crescente potere dei trafficanti di uomini che destabilizzano tanto i paesi di provenienza quanto i paesi d’arrivo degli emigranti.
Mi auguro solo che il cambiamento della politica americana nei confronti dell’Europa spinga finalmente i nostri governanti a prendere i provvedimenti necessari per assicurare un futuro alla nostra sicurezza e alla nostra economia.
Non è consolante pensare che solo una spinta esterna ci possa obbligare a decidere sulle politiche di nostro interesse, ma è quanto sta avvenendo anche nei confronti della tassazione delle imprese multinazionali.
Ci auguriamo quindi che la prossima riunione del Consiglio Europeo sia più fruttuosa, unendo a quest’augurio la speranza che non accada, nel frattempo, un altro dirottamento aereo.
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