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Cronaca di un voto


(foto da CNN.com)
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Alle 8:35 Franca dice: " Io vado a votare!".

"Che significa?, le chiedo, Siamo una coppia e finora abbiamo sempre votato insieme."

"Io vado a votare perche' voglio avere la giornata libera!"

Sto seguendo sui vari canali della televisione le riprese in diretta che mostrano lunghe fila di cittadini in diverse citta' della Federazione che attendono pazientemente il loro turno per esercitare il diritto ad esprimere un parere su questa America che sta ansimando.

"Se andiamo adesso troviamo un sacco di gente in coda perche' dopo il voto devono andare a lavorare.", cerco di fare ragionare la fanciulla che da decenni condivide il nostro talamo nuziale.

"Io vado a votare!" chiude la conversazione la ragazza.

E cosi, usciti di casa, abbiamo percorso i 300 metri che ci separano dalla scuola elementare nello Hardy Recreation Center situato al numero 5oo della Q street, due campi da tennis a disposizione di chi vuol giocare gratis.

Fuori del cancello alcuni sostenitori dei vari candidati locali ti porgono i depliants che noi rifiutiamo ringraziando.

All'interno dell'edificio ci saranno cinquanta persone che gia' stanno votando presso le varie macchine.

Ci indirizziamo verso il bancone dietro il quale prestano la loro opera dei volontari. Di fronte ad ognuno un cartello con le sigle alfabetiche dei nominativi che gestiscono.

Ovviamente cartello A-F.

"Ah, Mr. Barto'li", dice lo scrutatore storpiando come d'uso il mio nome. (Bisogna precisare che qui in America se pronuncio il mio cognome con la giusta accentazione la gente non capisce. Se invece lo dico marcando sulla 'o' tutti comprendono. Poco male: in Francia l'accento me lo mettono sulla 'i').

Gli porgo il tesserino di registrazione e la patente che negli Stati Uniti e' il solo documento di riconoscimento importante.

Tento un timido e corretto "Bartoli". Lo scrutatore mi guarda sorridendo e dice: "Sono un attento lettore della sua newsletter, lo sa?".

Non lo sapevo, ma mi fa piacere. Mi fa firmare nel registro accanto al mio nome e mi da' una targhetta sulla quale scrivo in maiuscolo di nuovo nome e cognome.

E mi avvio ad un tavolo vicino dove una signora attraente e' intenta a leccare una busta con dei documenti. Sorride anche lei e si scusa per avermi fatto aspettare qualche secondo.

"Quale sistema di voto preferisce: elettronico o carta?"

Opto per la carta perche' sono giunte notizie che a Richmond in Virginia la votazione elettronica e' andata in tilt. E poi con la carta resta una documentazione fisica.

Un nero che lavora con la signora mi consegna una busta con le istruzioni per il voto e dentro la scheda delle dimensioni di un foglio legale.

Sulla mia destra altre persone stanno votando nei diversi cubicoli delle macchine elettroniche.

Io mi avvio verso le postazioni per il voto su carta. Una assistente nera mi chiede se ho la matita. E me ne porge una. Durezza n.2.

Estraggo la scheda che porta accanto al nome di ogni candidato una freccia stampata la cui parte centrale e' sbiancata.

Il voto consiste nel riempire con un tratto di lapis quella parte mancante.

Voto per Barack Obama, per Biden e per i candidati democratici al senato, alla camera dei rappresentanti, al comune di Washington, al consiglio di quartiere. Ma la maggior parte degli amici italiani che, come me vivono negli Stati Uniti da anni, e' di destra e vota McCain.

L'assistente nera mi indica il lettore ottico nel quale infilo la mia scheda il cui voto viene registrato in tempo reale.

Vicino all'uscita una ragazza mi consegna l'adesivo con la scritta: "Io ho votato!" che provvedo ad
attaccare sulla mia giacca con una punta di malcelato orgoglio. Si', perche' questo e' il momento storico del "We the People".

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