Alberto Pasolini Zanelli
L’esito del
referendum in Crimea era scontato. Putin aveva dalla sua la demografia, la
forza militare e, una volta tanto, il principio dell’autodeterminazione dei
popoli. Non sono scontate, invece, le conseguenze di quel voto e dunque è
urgente, per tutti, cercar di contenerne la gravità. E intanto riconoscere gli
errori di tutti domandarsi chi ha perso e quanto. Nascerà, nella migliore delle
ipotesi, un mini Stato, uno fra i tanti, anche se con molta storia dietro e con
inquietanti paralleli con crisi passate. L’Europa è impegnata in una sua
giornata della memoria cent’anni dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale,
che avviò il declino dell’Europa. Il parallelo fra il 1914 e il 2014 è certo
eccessivo, ma non di più del paragone corrente e frettoloso con un’altra crisi che
si chiamò e si chiama Monaco, il luogo in cui si tirarono le somme di una
guerra assurda e si gettarono le basi per una nuova e ancor più sanguinosa.
Guardare al passato
serve sempre, ma in questo caso è più urgente forse fare gli scongiuri, che
però evidentemente non bastano. Bisognerebbe anche ricordarsi che la fine della
Guerra Fredda, un quarto di secolo fa, non è di quei miracoli che si ripetono
ogni volta che se ne sente il bisogno. Dai toni anacronistici del presente confronto
Est-Ovest nessuno ha guadagnato e difficilmente qualcuno guadagnerà. Non la Russia , dedita in queste
ore a festeggiare la decisione dei fratelli di lingua che “tornano a casa” ma
anche a proeccuparsi della tensione che estende alle sue altre frontiere
occidentali, dalla Polonia al Baltico e soprattutto dell’economia: la caduta
del rublo e della Borsa di Mosca, l’accentuazione del declino economico e la
necessità di concentrarsi ancora di più sulle esportazioni energetiche. Agli
ucraini andrà anche peggio. Gran parte della crisi odierna nasce dal loro
bisogno di emergere da una catastrofe economica. Se anche l’Occidente in
qualche modo li aiuterà, difficilmente ciò potrà compensare l’emorragia che
verrà dalla cessazione delle sovvenzioni petrolifere di Mosca. La prospettiva è
un salto dalla padella nella brace.
E l’Occidente? Non
ha ancora cominciato a confessare di avere commesso errori, anche gravi, difficili
da correggere senza perdere la faccia. Gestita con saggezza la situazione che ha
portato alla crisi avrebbe potuto venire a vantaggio di tutti, col
consolidamento di uno Stato-cuscinetto con l’Ucraina idealmente collocato fra
l’Europa e la Russia. Il
governo di Kiev aveva l’acqua alla gola e ha cercato di farsi aiutare dall’una
e dall’altra, con agevolazioni e prestiti pagabili con la firma a qualche
trattato. L’Europa era l’opzione preferita, ma l’Europa di oggi, inchiodata
all’euro e all’Austerity, non se l’è sentita finora di mostrarsi più generosa
con gli ucraini di quanto lo sia con i suoi soci fondatori nella parte
meridionale della sua geografia. Yanukovich si è sentito obbligato a buttarsi
nelle braccia di Mosca e l’ha pagata cara, rovesciato da un “golpe di piazza”.
I suoi successori hanno invertito la rotta con ancora più fretta ma
difficilmente troveranno a Occidente un porto per le loro ansie.
Occidente significa
soprattutto Germania, non solo per il suo attuale primato continentale ma anche
per l’intensità degli scambi con Mosca. Se alle sanzioni antirusse si arriverà
davvero, Berlino ne sarà a sua volta colpita, essendo il principale partner
commerciale dell’Ue (il secondo, non dimentichiamolo, è l’Italia). Rimane, come
sempre, l’America, ma Washington dà l’impressione di oscillare fra la
riflessione e la sfida. La colpa viene fatta ricadere come sempre su Obama, spesso
accusato di essere un sor Tentenna anche da chi dovrebbe sapere bene che le
oscillazioni della Casa Bianca sono in gran parte l’effetto delle pressioni, a
tratti spasmodiche, dei “falchi” su un presidente sospettato di essere una
“colomba”. Il “partito della guerra”, che preme per un’azione preventiva contro
il “revanscista” Putin, consiste prevalentemente nell’estrema destra ma non
solo: vi si arruola anche un’ala della sinistra democratica nostalgica dei tempi
in cui gli Stati Uniti erano davvero onnipotenti. Sono loro a rilanciare
l’eterno paragone con Monaco, efficace ma spesso fuorviante.