Alberto Pasolini Zanelli
Vladimir Putin è
uscito trionfatore dalle Olimpiadi della neve. Ma rischia la sconfitta in
Giochi molto più importanti, di vedersi cadere di tasca molto di più delle
tredici medaglie d’oro strappate dai suoi sciatori e dalle sue pattinatrici in
Ucraina. Che potrebbe diventare il teatro di una nuova Guerra Fredda, o
perlomeno del suo prologo. In certi momenti la frontiera fra il successo e il
disastro è molto sottile. Potevano guardarla da vicino i turisti delle
Olimpiadi che si sgranchissero le gambe con una passeggiatina sul lungomare di
Sochi: ben presto incontravano una barriera, una frontiera: finiva la Russia vera e propria,
cominciava la Abkhazia ,
una Repubblica “autonoma” della Federazione Russa. Ma l’Abkhazia è anche parte
della Georgia ed è stata teatro un paio di anni fa di una piccola guerra tra gli
autonomisti di quella minoranza etnica, il governo di Tbilisi e quello di
Mosca. Che prevalse, ovviamente, in poche ore ma che adesso rischia un bis
molto più incerto e pericoloso, con la Crimea al posto dell’Abkhazia, l’Ucraina al posto
della Georgia e la Russia
che rischia uno scontro frontale con l’America.
È l’azzardo dello
Zar, una dimostrazione di forza che potrebbe trasformarsi in un grosso smacco per
Putin e in una minaccia per gli equilibri internazionali, cosi’ vulnerabili
alle crisi “locali”. La partita in Ucraina potrà risolversi in una vittoria del
nazionalismo e nella sconfitta delle tentazioni neoegemoniche del Cremlino; ma
potrebbe essere tutt’altro che conclusa e tanto meno stabilizzata. A Kiev ha
prevalso forse la “voglia di Occidente” ma non, almeno per ora, l’“ordine
democratico”. La piazza ha piegato il Parlamento, il Parlamento ha detronizzato
un capo dello Stato, probabilmente indegno ma comunque legalmente eletto dal
popolo. Si è creata, cioè, una situazione non dissimile dalle tante che hanno
sconvolto la Primavera Araba ,
creando situazioni come quelle che si trascinano in Egitto, in Libia e
soprattutto in Siria. Questa volta, però, la sfida è stata lanciata da Putin,
mosso dal suo desiderio di un “Risorgimento” della Russia dopo i disastri del
regime sovietico e le umiliazioni derivate dal suo crollo. Un progetto
legittimo ma che molti in Occidente definiscono revanscismo. E che comunque viene
lanciato nel momento peggiore, soprattutto per Putin. Perché il suo vero
interlocutore non è l’Europa e non è neanche Obama: è l’America inquieta di
questi mesi, segnati dal risveglio delle tentazioni dei cosiddetti
“neoconservatori”, che premono sulla Casa Bianca per una politica estera più
attiva, ispirata all’unilateralismo. Obama fa da tampone, finché può, ma è
costretto a fare concessioni. Lo si vede in Siria, in Venezuela, in Ucraina. Dove
lo scontro con il gioco d’azzardo dello Zar potrebbe diventare esplosivo.