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Spending review, Renzi accelera

Guido Colomba
La crisi economica italiana sta determinando nell'opinione pubblica la percezione di ciò che è necessario fare per salvare il Paese: lotta alla burocrazia, riduzione della spesa dello Stato e ritorno al manifatturiero (senza tralasciare cultura e turismo). E' troppo? Tutto il mondo occidentale ci attende al varco. Innanzitutto il vertice europeo di domani. Solo i "talk show" televisivi e i commentatori vecchia maniera, abituati ai rituali della Seconda Repubblica, sembrano non accorgersi di nulla. Anzi continuano a tirare la volata a vecchi boiardi (politici ed economici) della nomenclatura italiana arricchiti dalle pratiche del neo-capitalismo di Stato. Anche la Gdf ha voltato pagina con metodi nuovi (tra cui lo scambio automatico delle informazioni tra Stati) nella lotta alla corruzione, fonte primaria dell'evasione (i sequestri di beni mafiosi nel 2013 sono stati pari a 4,7 miliardi). Il gettito di gennaio è cresciuto di oltre quattro miliardi (+7,7%). E' in questo contesto che Matteo Renzi sta avendo uno straordinario successo. Naturalmente è atteso alla verifica dei fatti. Ci riuscirà? La positività dell'incontro bilaterale con Angela Merkel è tutta qui: l'Italia vuole cambiare rotta. Anche il Financial Times dà credito al nuovo primo ministro italiano ma si accoda a quanti dubitano delle cifre e dei possibili risultati. Eppure, la stessa Merkel ha mostrato più interesse nella riforma costituzionale messa in cantiere dal nuovo governo specie nei confronti delle Regioni. L'articolo di Sergio Rizzo sul Corriere della Sera (17 marzo) descrive con efficacia le spese folli delle Regioni (generate dal Titolo V), dalle "ambasciate" estere, ai rimborsi dei gruppi consiliari, fino alla eccedenza di personale dipendente (24.400) su un totale di 79mila. E' evidente che bisognerà fare largo uso degli ammortizzatori sociali così come già avviene con la Cig nel settore delle imprese. A Berlino la Merkel, parlando con Renzi, ha riconosciuto che anche la Germania su questi stessi temi (spesa pubblica, occupazione e produttività) ha dovuto attendere i risultati dopo due-tre anni. Intanto la prima rivoluzione interna, in termini di lotta ai mandarini della burocrazia, è quella che ha portato a Palazzo Chigi dal Tesoro la "spending review" di Carlo Cottarelli. Ora, Matteo Renzi in prima persona si è assunto la responsabilità nella gestione della spesa pubblica (Saccomanni aveva congelato Cottarelli per tre mesi). I primi risultati già si vedono: nel 2014 maggiori  risparmi per 5 miliardi, cui seguiranno 18,1 miliardi nel 2015 e 33,9 nel 2016. Sono dati complessivi che vanno depurati delle somme già impegnate dai precedenti governi. La manovra si integra con il Job Act (nuova disciplina dei contratti a termine) per il quale è previsto un drastico calo del contenzioso. Di pari passo si profila un rilancio dell'edilizia correlato al "Piano-Scuole" dove sono già arrivati 5mila progetti dai sindaci di tutta Italia in risposta all'invito del premier di "finanziare una scuola in ogni comune". Sullo sfondo vi è il braccio di ferro con i Sindacati. Renzi ha sepolto il "metodo Cgil" che ha dominato l'Italia dal dopoguerra. Un azzardo e una speranza. (Guido Colomba)