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Da Angela Merkel un forte appoggio a Matteo Renzi


Guido Colomba
Come andrà l'incontro Merkel- Renzi? Tutto indica che, a Berlino, Matteo Renzi troverà una forte disponibilità a sostegno del suo programma. Vi sono alcune analogie significative. Nel governo delle larghe intese con i socialdemocratici (Spd), Angela Merkel ha già accettato (dopo due mesi di trattativa) il modello di crescita con minori diseguaglianze senza tralasciare le critiche della Casa Bianca (Obama sarà a Roma il 27 marzo) per un ruolo più attivo di Berlino in sede europea. La crisi (Crimea) nei rapporti con Putin ha accelerato l'esigenza di un'Europa più coesa dove la crescita socio-economica è la necessaria base di partenza per uscire dal rischio di una deflazione permanente. Non a caso Il finanziere americano George Soros preconizza una stagnazione di 25 anni se non vi sarà più integrazione europea ed una ristrutturazione del credito soffocato da lacci e laccioli (l'Eba ha fissato 183 regole sugli affidamenti). Il programma annunciato da Renzi soddisfa queste esigenze anche se, paradossalmente, il divario tra annunci e misure concrete in termini di "coperture" è da addebitare alle nuove regole europee (le minori spese nel corso dell'anno sono contabilizzabili in sede di consuntivo) che il governo Monti ha sottoscritto nel 2011 con troppa disinvoltura e senza contropartite (l'Italia non ottiene le deroghe al deficit del 3% così facilmente accordate alla Francia). Ora, ogni misura economica deve ottenere il semaforo verde preventivo della Commissione persino nel passaggio dal 2,6% al 3%. Ecco perchè l'intesa con Angela Merkel può favorire "l'avanti tutta" di Renzi, specie tenendo conto dello "strano monito" che la Bce di Draghi ha diffuso questa mattina nei confronti del deficit italiano. In merito, basterebbe ricordare il peso sull'Italia dei salvataggi europei (Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna e Cipro) che hanno fatto salire il debito pubblico italiano di 58 miliardi, quasi 4 punti di Pil. Con una spesa pubblica superiore agli 800 miliardi, la lista della spending review del commissario Carlo Cottarelli (35 miliardi di cui 7 nel 2014) diventa fondamentale tanto da costituire una sorta di "garanzia del successo". Il ministro Padoàn, formalmente ligio alle "regole" europee, lascia trapelare un prudente ottimismo:"la Ue guardi di più alla crescita". Per ora non si è parlato delle 7399 società dove, nel 95% dei casi, vi sono partecipazioni che fanno capo agli enti locali (il totale delle società partecipate è pari a 24182 e producono una perdita globale di 23 miliardi). Una quota rilevante, secondo i dati di Cottarelli, non ha a che fare con la fornitura di servizi. Non è stata rispettata la norma che imponeva la chiusura delle società che per il 90% fatturano per una amministrazione pubblica. Purtroppo, la legge di stabilità varata il mese scorso dal governo Letta, anzichè sanzionare gli enti locali che non hanno obbedito alle scadenze (30 settembre e 31 dicembre) previste da leggi dello Stato, ha rinviato il problema al 2017. Ed è la controprova che i superburocrati hanno strangolato l'Italia. Questo spiega (ma non assolve) la famosa frase di Saccomanni pronunciata nel giugno del 2013: "Non sono rinvenibili tagli di spesa". Ecco perchè nelle priorità del governo Renzi figura la battaglia alla burocrazia.