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Come evitare un conflitto armato



Alberto Pasolini Zanelli
È buon uso educato definire “conferenze per il disarmo” le riunioni in cui i potenti (o i semi-potenti) della Terra si ritrovano per discutere come evitare un conflitto armato. I precedenti sono molto numerosi, anche se non tutti felici né beneauguranti. Il “vertice mobile” che in questi giorni solca l’Europa Centrale e Orientale presenta diverse caratteristiche che potrebbero essere allarmanti ma è anche fornito di garanzie, sia pure prevalentemente formali, che in parte bilanciano i motivi di allarme. Per un po’ di tempo discutono a tre, poi proseguono le consultazioni a due, di rado si incontrano a ranghi pieni; ma i protagonisti sono evidentemente quelli, in ordine ascendente. Ci sono i secessionisti di un paio di regioni di un Paese come l’Ucraina di medie dimensioni e potenza, c’è il governo di Kiev che subisce i loro attacchi e chiede soccorsi, ci sono due Stati europei di media stazza come la Francia e la Germania, unite come non lo erano state dai giorni della grande crisi in Irak e c’è l’ex Superpotenza russa, che gioca praticamente in casa e ci sono gli Stati Uniti “super” in carica, ma divisi fra tentazioni contraddittorie e anche dalla valutazione delle proporzioni della crisi.
Come molte guerre, anche questa nell’Ucraina Orientale è figlia di “paci” sbagliate o almeno imperfette. Una sommossa regionale su basi etniche, religiose e anche politiche riguarda un angolo dell’Ucraina, ma è ormai sul punto di degenerare in una riedizione della Guerra Fredda che tormentò e mise a rischio l’intero pianeta per quasi mezzo secolo. Una faida fra ucraini ha risvegliato il revanscismo latente a Mosca e nato dalle umiliazioni della Distensione ha finito con il richiudere le porte e riaprire le trincee lungo un confine continentale che va dall’angolo del Mar Nero alle vicinanze di Sanpietroburgo e coinvolge in qualche modo quasi tutti gli attori della Guerra Fredda, dalla base navale di Sebastopoli ai caccia italiani in missione di sorveglianza da basi in Lettonia e Lituania. Entrambi i “fronti” possono segnalare dei “successi”: la Russia non rischia più che l’Ucraina entri nella Nato, l’Occidente che Kiev si riattacchi a Mosca in un blocco politico-economico: ha rovescia con una specie di pacifico golpe un governo ucraino che aveva scelto Mosca. Il Cremlino ne ha approfittato per riprendersi la Crimea, l’Occidente per riportare le armi su una frontiera che era diventata di pace. Armi “pacifiche” fino a ieri, “non letali” oggi, domani forse anche letali se prevarrà il punto di vista americano, non tanto di Obama quanto dei “falchi” che da tempo vorrebbero “dare una lezione” a Putin. I leader seduti ai tavoli di Minsk o di Kiev perseguono fini differenti. I “falchi” d’Occidente hanno finora prevalso nelle misure economiche, le “colombe” sono sulla difensiva. Al centro dell’Europa si è ricreato un asse franco-tedesco che si sforza di evitare che le ostilità economiche divengano ostilità tout court. Fra i “falchi”, concentrati in America, ci sono di quelli il cui obiettivo principale è la caduta o almeno l’umiliazione per Putin. Attraverso misure giustificabili con le conseguenze della pace di venticinque anni fa ma pericolose in molti altri sensi.