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Renzi, jobs act e banche popolari


Guido Colomba

Prende forma concreta l'azione del governo Renzi, proprio mentre il "consensus" Ocse (+0,6% nel 2015) ne certifica l'uscita dal tunnel della deflazione. Due gli aspetti di immediata percezione. Il primo, varato oggi dal Cdm, riguarda l'implementation del "Jobs Act"con due decreti attuativi (tutele crescenti, una rete di protezione per chi perde il posto di lavoro, abbattimento nella durata dei contratti a termine). Quest'ultimo punto dovrebbe andare a favore dei giovani. Renzi ha così riassunto la riforma del mercato del lavoro: "Vi è una riduzione importante delle tasse sulle assunzioni; più flessibilità in entrata e più tutele in uscita". Un risultato politico importante poichè racchiude la sfida con i sindacati storici che hanno tentato invano l'arma degli scioperi generali. Intanto, le aziende (Fiat,Telecom, Poste ecc.) tornano ad assumere. Un punto di svolta con grande impatto sul clima di fiducia (e quindi dei consumi interni). Il secondo aspetto della politica economica si riferisce alla riforma, inizialmente molto contestata, delle banche popolari obbligate a rinunciare al voto capitario  (controllato da politici e sindacati) ed a trasformarsi in spa. Che il clima sia cambiato lo dimostra la risposta di Piazza Affari. Dall'annuncio di Matteo Renzi (venerdì 16 Gennaio), la capitalizzazione del settore è cresciuta di 5,8 miliardi, equivalente al doppio del valore di Monte dei Paschi. Tutte le principali banche di credito cooperativo hanno ottenuto rialzi a due cifre (con scambi superiori a 700 milioni di euro). Sono le più piccole (Valtellinese +64,3; Etruria +58,9) ad aver registrato i rialzi più significativi. In termini di analisi tecnica c'era un price/book value pari a 0,4 volte il patrimonio netto rispetto alla media del settore pari a 0,7 volte. Hanno guadagnato tutti, soci grandi e piccoli. Per difendere la "territorialità" del credito popolare ed evitare il rischio che le piccole e medie imprese vengano ignorate da un eventuale acquirente estero, si punta (Assopopolari) ad un compromesso con il governo sul diritto di voto con un limite fra il 3 e il 5 per cento. E' bene ricordare che secondo le agenzie di rating il sistema bancario italiano è solido ma non produce profitti ed è afflitto dai crediti inesigibili e dalle sofferenze (olre 180 miliardi). Ecco perchè la stessa Ocse sembra consigliare il governo italiano a varare una "bad bank". Una formula largamente utilizzata da diversi paesi europei per fronteggiare la crisi dei subprime esplosa nel 2008 ma misteriosamente ignorata dai governi italiani e dalla stessa Banca d'Italia. Eppure la crisi greca ha reso evidenti alcune "curiosità" poco conosciute dall'opinione pubblica. L'esposizione verso la Grecia nel 2009 era fortissima per le banche di Francia (78,8 miliardi), Germania (45,0 miliardi) e Olanda (12,2 miliardi). Le banche italiane erano esposte per 6,8 miliardi. A distanza di sei anni il rischio è passato dalle banche agli Stati: 46,6 mld. per la Francia; 61,7 per la Germania; 13,1 per l'Olanda, ben 40,9 miliardi per l'Italia (27,3 mld per la Spagna). Ecco spiegato l'"asse franco-tedesco" le cui banche, così esposte verso la Grecia, sono state graziate quasi del tutto (108 miliardi su 123). Mentre le economie più deboli in termini di debito sovrano (Italia e Spagna) hanno subito il maggior onere pubblico pari a 68,2 miliardi. I "falchi" sono stati abilissimi... A Bruxelles i ministri finanziari cercano (per la quarta volta in due settimane) la "quadra" per la Grecia. Chi ha tratto vantaggio dalla crisi, come dimostrano le cifre, non può certo rinunciare ad una situazione così vantaggiosa.