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Pressione fiscale e democrazia europea

Guido Colomba
I mercati (finora) sono stati grati a Draghi per un Qe che sta facendo risparmiare all'Italia, in termini di interessi passivi sul debito, ben cinque miliardi nel 2015. Tanto da far dire al governatore della Banca d'Italia Visco che "dal Quantitative Easing della Bce, l'Italia guadagna oltre un punto di Pil". Sta di fatto che tutti i titoli di Stato a breve (fino a sette anni) rendono "sottozero" stabilendo un record storico. L'Italia, a soli quattro anni dall'attacco speculativo (lo spread sfiorò i 600 punti base), è dunque entrata nel club dei rendimenti sovrani sotto zero. Non c'è da meravigliarsi se la Bce insiste nell'ampliare la vigilanza unica con regole e standard bancari "armonizzati" in tutta l'Eurozona per evitare che i governi approfittino di questa bonanza per non fare le riforme strutturali (la famosa politica fiscale). Nel caso italiano, dobbiamo poi aggiungere a questi dati, che con il rientro dei capitali dall'estero (voluntary disclosure) il Tesoro ha già introitato ben 3,4 miliardi di euro rispetto ad un target di 4 miliardi, chiaramente alla portata di mano. Vi sono poi i risparmi energetici per la perdurante crisi del prezzo del petrolio e delle materie prime. Sono cifre che rendono ridicoli i tentativi, ben veicolati anche dai media più autorevoli, di mettere in dubbio la tenuta contabile della "legge di stabilità". Anche la rinuncia dell'economista Perotti (spending review) è stata enfatizzata a dismisura atteso che Renzi ha operato in questi diciotto mesi per portare a Palazzo Chigi le scelte di politica economica e il controllo della loro attuazione. Una battaglia difficile, piena di resistenze burocratiche specie dalla dirigenza di Via XX Settembre, ma che alla fine ha avuto successo. E' questo il senso della nascita, per la prima volta nella storia repubblicana, di una squadra di consiglieri (analoga all'advisory board della Casa Bianca) che costituisce la "cabina di regia" della strategia economica del Paese. Pochi si sono accorti di una differenza fondamentale. Mentre Cottarelli (tornato al Fmi) che Letta aveva nominato come referente per la "spending review" era stato assegnato al Tesoro, Perotti e gli altri consiglieri hanno come base proprio la presidenza del consiglio. Un cambiamento epocale che toglie il tappeto sotto i piedi ai potentissimi e non rottamabili superburocrati. Ciò ha migliorato l'intesa tra Renzi e Padoan. Tanto che quest'ultimo ha detto, ieri a Bruxelles, che l'Italia con le misure prese in due anni ha ridotto di venti miliardi la spesa pubblica (scenderà nel 2017 al 48,9% del Pil rispetto al 56,4% della Francia e una media europea del 47,6%). Di certo non bisogna indulgere nell'ottimismo. La pressione fiscale è ancora molto alta e costituisce il peggior freno allo sviluppo dell'economia. Il Fisco si prende in media il 44% degli utili aziendali (corporate tax rate). Se si sommano le altre imposte e tributi, secondo i calcoli della Banca mondiale, il “total tax rate” in Italia sale nel 2015 al 65,4 per cento. Certo, a Bruxelles, non mancano le resistenze burocratiche sulla "flessibilità" richiesta dal governo di Roma mentre persistono i pregiudizi del Nord Europa. Vi è il problema della "bad bank" che tarda a trovare una soluzione proprio mentre le sofferenze bancarie, come riferisce la Banca d'Italia, superano la soglia psicologica dei 200 miliardi di euro (erano 131 miliardi a fine aprile 2013). Quasi settanta miliardi di aumento in soli due anni e mezzo, che misurano gli effetti perversi di talune collusioni tra i politici locali e le dirigenze bancarie troppo prone nell'assecondarne le richieste nella scelta del credito erogato. Tuttavia i segnali che provengono dall'economia reale sono inequivocabili come è attestato dall'outlook di Moody's. L'Istat e l'Inps hanno confermato che il Jobs Act (benefici fiscali per chi assume) sta funzionando tanto da creare un elevato numero di nuovi posti di lavoro. Anche la confusione anarchica nelle competenze regionali viene sottoposta ad una verifica puntuale che darà risultati conseguenti nelle infrastrutture (strade, ferrovie, porti). Resta in primo piano la tutela della legalità e l'esigenza di migliorare la trasparenza del sistema-paese ricordando che gli appalti, in un nuovo contesto, sono il "motore" della crescita.