Alberto
Pasolini Zanelli
Anche nel bel
mezzo di un’inondazione c’è chi nuota controcorrente. Per esempio gli abitanti
della più popolosa città europea che potrebbero scegliersi, proprio adesso, un
sindaco musulmano dal cognome risonante: Sadiq Khan. Che è stato prescelto con
una solida maggioranza nella primaria del Partito Laburista e affronterà fra
qualche settimana il candidato conservatore, dalle solide origini ebraiche. Una
“finale” che forse non si sarebbe presentata proprio identica se la decisione degli
elettori fosse venuta un paio di settimane più tardi ma che così produce
comunque uno spettacolo senza molto precedenti e con un tempismo alquanto
sorprendente. Né Khan, né Zac Goldsmith sono degli estremisti. Il secondo è un
conservatore assai moderato e neppure il primo è esponente di correnti
ideologiche non convenzionali. Kahn è stato però eletto dalla sinistra
laburista, quella che ha appena dato al partito un nuovo leader nazionale, un
personaggio singolare, Jeremy Corbyn, nelle sue proposte e ancor più nelle sue
idiosincrasie, che includono il ritiro della Gran Bretagna dall’Unione europea
(e fin qui ci pensa anche l’attuale premier conservatore) ma anche dalla Nato,
la rinuncia unilaterale alle armi nucleari e rapporti preferenziali con Hamas e
Hezbollah. Kahn non ha mai avanzato proposte del genere. Si occupa, al
contrario, quasi esclusivamente di problemi economici della sua metropoli,
incluse dunque immigrazione e razza. Tuttavia può apparire, se non “complice”,
in qualche modo “sospettabile” di qualcosa, al punto da rovesciare il
pronostico che una settimana fa lo dava in testa: solo un londinese su tre
provava “qualche imbarazzo” per la sua affiliazione religiosa. Adesso non si
sa.
Sadiq Kahn ha 44
anni e viene da una famiglia di immigrati pachistani. Suo padre faceva il
conducente d’autobus, sua madre era sarta. Lo hanno cresciuto in un piccolo
appartamento della periferia di Londra, quella che, come in tutte le metropoli,
“nutre” le discriminazioni, il malcontento e spesso l’ira. Ha studiato in una
scuola pubblica, al contrario del suo rivale, venuto su con la elite. Si è
laureato in legge, ha fatto l’avvocato per i “diritti umani”. È deputato da
dieci anni ed è stato ministro dell’ultimo governo laburista del Regno Unito,
nominato dall’allora premier Gordon Brown a reggere il “dicastero” delle
comunità locali e poi a dirigere i Trasporti. In entrambe le funzioni è stato
il secondo musulmano a far parte di un governo britannico. Ha diretto la
campagna elettorale di Ed Miliband per la guida del partito, nel 2010, dopo la
vittoria dei conservatori, è diventato “ministro ombra” per la città di Londra.
Nelle primarie per la nomina a candidato sindaco ha ottenuto il 60 per cento
delle preferenze, rappresentando convinzioni simili a quelle della sinistra più
tradizionale anche se meno radicali di quelle di Jeremy Corbyn. Rifiutò un
aumento di stipendio da parlamentare per “solidarietà e rispetto” nei confronti
delle “persone colpite dalla crisi economica”. Musulmano praticante, ha
ricevuto due anni fa minacce di morte per avere votato a favore della
legalizzazione dei matrimoni gay. Di solito è concentrato sui problemi
economici, in particolare su quello delle case che ospitano le minoranze di
immigrati e stanno diventando, anche se meno di quello che è accaduto a Parigi,
dei ghetti. Non passa per ideologo, la sua “passione” si concentra di più sulle
“cose da fare” che non sulle questioni di principio. Alle proposte di
rinnovamento radicale di Corbyn, Kahn non contrappone ma antepone “soluzioni”
per la crisi delle case popolari che lo avvicinano al suo rivale conservatore.
Kahn, insomma, non fa paura. Almeno non ne faceva fino a che una strage nella
seconda metropoli d’Europa non riaccendeva le fiamme dell’odio e della paura.