Guido Colomba
Il collasso morale ed economico
delle Regioni accentua il dibattito sul modello di Stato e sul ruolo della
politica. Verso il "partito di Renzi"?
Alla fine il
"re è nudo". Il collasso morale ed economico delle Regioni, dopo
venti mesi dall'insediamento del governo Renzi, è emerso in tutta la sua
crudezza. Due cifre su tutte: la spesa delle Regioni in questi anni di crisi
post-Lehman sono aumentate del 46% mentre l'inflazione è rimasta ai minimi
(4,5% in sei anni). Il Paese, nello stesso tempo, ha perso un quarto della
produzione industriale e dieci punti di Pil. Come hanno risposto le Regioni?
Nonostante gli scandali e i ripetuti interventi della magistratura, hanno
continuato a sprecare a piene mani senza alcuna notivazione di lungo periodo
e senza veri controlli. Spesso usando criteri odiosi quali la riduzione delle
borse di studio (diritto allo studio) in presenza di una disoccupazione giovanile
superiore al 40 per cento. Pur di ottenere altri soldi dallo Stato hanno
costantemente minacciato la riduzione dei servizi ai cittadini. Per garantirsi
la continuità di questa strategia perversa, non hanno esitato ad aumentare le
tasse ai cittadini del 42%. Ora, il Piemonte (guarda caso propro la
Regione bollata dal Consiglio di Stato per aver utilizzato i fondi per gli
investimenti al solo uso della spesa corrente) guida la rivolta contro la
riduzone delle tasse decisa dalla Legge di Stabilità. Perchè di questo si
tratta. Non a caso i maggiori editorialisti (re: Paolo Franchi, Corriere 31
ottobre) ora affermano che la socialdemocrazia è finita insieme alla caduta del
muro di Berlino nel 1989. In realtà il tema riguarda il rapporto con i
cittadini cu è stato sottratto ogni potere decisionale nella gestione economica
in un mondo talmente interconnesso da reagire in tempi immediati agli stimoli
esterni (vedi il crollo delle materie prime, della crisi greca, della Cina e
degli altri paesi Brics). Infatti, non ha più senso la vecchia ricetta,
adottata nella ricerca del consenso dalla destra e dalla sinistra, di aumentare
le tasse per distribuire a pioggia ad amici e famigli così da battere
l'avversario politico. Renzi sta bloccando tutto ciò mettendo in crisi il
vecchio modello di partito di sinistra, sfidando e assorbendo i capisaldi del
centrodestra. Ci riuscirà? Nascerà il "partito di Renzi"? Lo
strumento operativo è la legge di stabilità con la sua manovra di 35-40
miliardi. L'accoglienza iniziale è stata ottima sia In Italia che in Europa.
Però, gli apparati (lobby e alta burocrazia) si sono organizzati e sono tutti
contro come dimostra la immediata reazione negativa dei "tecnici" di
Camera e Senato ampliata dai megafoni dei principali media italiani troppo
assuefatti al regime consociativo degli ultimi venti anni. E' evidente che
questo scontro coinvolge tutti gli Enti locali. In fondo la crisi di Roma, con
il ritiro "a singhiozzo" dell'ex sindaco Marino, ha un solo vero
nome: il ridimensionamento delle società partecipate che da sole producono un
deficit di alcuni miliardi di euro. Ha tentato invano Monti di ridurre
almeno le società partecipate in deficit perenne. Ora, Renzi ha fissato la data
(primo gennaio) per rendere concreta la lotta a questo scandalo gigantesco.
Altro che elasticità di bilancio da ottenere a Bruxelles, Qui ballano cifre
enormi. Solo a Roma le società pubbliche (cui fa capo una miriade di altre
società-satelliti) contano oltre 30mila dipendenti. In tutto questo i cittadini
sono trattati come pacchi postali chiamati solo a pagare più tasse per
garantire l'Olimpo a una classe politica sorda a qualsiasi principio etico
nella gestione dello Stato. La grande battaglia della riforma istituzionale è
in pieno svolgimento (legge elettorale, Senato, jobs acts): quella riferita
alle Regioni ne rappresenta il fulcro operativo. La politica economica deve
cambiare di pari passo. C'è ancora troppa finanza e troppa burocrazia.