Alberto Pasolini Zanelli
Nel centro storico
di Parigi c’è una statua equestre di Giovanna d’Arco. I più ci passano davanti
senza dedicarle particolare attenzione. Ma il monumento è stato il luogo da
decenni lo spazio dell’appuntamento “intimo” dei fedeli del Front National.
Soprattutto quando esso era un partito piccolo, dimenticato, discriminato. Dovrebbe
dunque essere colmo in queste ore almeno di curiosi che ci possono vedere il
simbolo del trionfo del Fronte Nazionale nelle elezioni di domenica. Incarnato,
oltre a tutto, da due donne che si immaginano benissimo a cavallo. Una zia e
una nipote, la figlia e la nipotina di un vecchio soldato, fondatore e tenace leader
del partito dell’estrema destra. I cui slogan, i cui rancori sono antichi e
dovrebbero essere superati ma le cui leader attuali hanno rispettivamente 47 e
26 anni e, simboli equestri a parte, sono il ritratto della “controrivoluzione
francese”. Vedremo domenica prossima come lo spostamento di voti si rifletterà
in una redistribuzione di poteri, ma la tradizione politica transalpina è
centralista e quindi poco sensibile è il potere delle periferie. In tutte le
regioni decideranno i ballottaggi e le poltrone potranno non riflettere le
urne. Il partito di governo, socialista, ha subito un voto di sfiducia con
pochi precedenti. Governava tutti i consigli regionali tranne uno e l’altro
giorno era in testa soltanto in tre su tredici. La destra tradizionale guidata
da Nicolas Sarkozy ha preso qualche suffragio in più ma ha pagato un prezzo
ancora più pesante. In qualche modo i due antagonisti tradizionali dovranno
allearsi per salvare seggi. Una grave ammissione di debolezza.
E gli altri europei
sono invitati a trarne le conseguenze o almeno a cercare di comprendere. Di
capire la Francia
e, dunque, anche se stessi. Perché dietro a quel cavallo, a quella zia e a
quella nipote, a quel cognome, Le Pen, diventato magico, non ci stanno andando
solo i francesi. Questo partito definito “antieuropeo” esprime i sentimenti,
gli stati d’animo e lo stato di salute di gran parte del continente. Esso intona
in queste ore il canto della Marsigliese, magari senza accorgersi che quel
vecchio inno rivoluzionario sta diventando il lamento dell’Europa. Il Front
National è solo uno dei recipienti del malumore e delle ansie europee. Che si
esprime a “destra” in francese, ma a “sinistra” in greco, si conferma o si
rilancia nelle inquietudini spagnole, nel cambio di governo in Portogallo,
nella svolta a sinistra del Partito laburista britannico. Appena dopo l’esito
delle “regionali” in Francia, c’è stato uno scambio di amorosi sensi tra tante Marine e il suo quasi coetaneo
Matteo Salvini, ma non poche vibrazioni in comune ci devono essere state anche con
Beppe Grillo, con il sinistrissimo greco Alexis Tsipras, con il destrissimo
nuovo leader polacco Jaroslaw Kaczynsky, con tanti eletti e soprattutto elettori
in tutto il nostro continente.
Forse non se ne
rende conto la maggioranza di coloro che fanno parte di questo movimento e
accettano o subiscono, per ora, il termine che altri gli hanno affibbiato,
“populisti”. È vago, comodo, inesatto. Qualcuno ha trovato di meglio: li ha
guardati in faccia, i leader ma soprattutto gli elettori, ha scoperto che cosa
hanno veramente in comune. Sono le “vittime della globalizzazione”. Si
definiscono e forse credono davvero di essere “antieuropei” perché ribelli alle
medicine che vengono versate nei loro (nei nostri) boccali: l’Austerity, le
innovazioni forzate, la logica degli eurocrati che si sforzano di adeguare i
sentimenti dei cittadini alle formule delle innovazioni tecnologiche. I “patti
di stabilità”, i sacrifici inevitabili, i cambiamenti sui posti di lavoro o in
ciò che sostituisce il lavoro. Con un risentimento rivolto a coloro che governano
l’Europa o credono di governarla ma che soprattutto la guidano in questa sua
anabasi di decadenza.
Globalizzazione
significa cose diverse in differenti gerghi. Potrebbe anche chiamarsi
robotizzazione, come formula del declino di un’Europa obbligata a rinunciare a
una sua posizione privilegiata fino a pochi decenni fa. I cinesi investono
nelle nostre industrie, gli emiri comprano i nostri grattacieli. Gli europei lo
sanno o lo sentono, magari confusamente. È quello che ha spinto nelle elezioni
di domenica il 45 per cento degli operai francesi a votare per l’estrema destra
e ripropone ad altri la tentazione di guardare a una sinistra declinante o
sconfitta. Più, naturalmente, l’allarme e il risentimento per l’assalto
all’Europa del terrorismo islamico. Soprattutto in Francia, dove sopravvive da
decenni la ferita della decolonizzazione, esemplificata dalla guerra
all’Algeria. Era un reduce, un soldato coloniale, Jean-Marie Le Pen, padre e
nonno delle due Giovanne d’Arco che cavalcano una protesta elettorale. Pasolini.zanelli@gmail.com