Alberto Pasolini Zanelli
È arrivato come uno di quei Grandi
Giorni della Storia, quelli scelti dal destino e imposti ai popoli o anche
soltanto ai loro governi. Le tensioni crescenti degli ultimi mesi, settimane e
perfino ore hanno rivestito il referendum britannico sui rapporti con l’Europa dei
panni di una scelta continentale se non universale, come se tutti gli europei,
non soltanto i loro governi, siano chiamati a compiere scelte definitive.
Europa o no, un balzo in avanti o una rovinosa caduta. È per questo che una
campagna elettorale su argomenti in sé limitati e modesti ha finito per
trascinare nelle sue polemiche tutti noi, dai politici di provincia agli
imprenditori ambiziosi, ai membri, soprattutto, di quel ceto medio che con
ragione si vede e si sente come minacciato di essere rigettato ai margini nelle
decisioni e nella Storia.
È bene allora ricordare, anche solo
per un momento, che così non è. Che le urne dell’Apocalisse non si aprono oggi
fra Dover e Mar d’Irlanda. Si tratta solo di un referendum, messo in calendario
quasi per caso e per una scelta limitata. Non nato da un incalzante
appuntamento con il destino ma voluto sostanzialmente da un uomo politico come
gli altri per motivi addirittura tattici e perfino marginali. Il Referendum è
figlio di una scelta tattica del primo ministro britannico David Cameron,
motivato da interessi di partito o addirittura, diremmo all’italiana, di
corrente. Cameron, conservatore, aveva portato il suo partito al successo ma
senza riuscire ad “unirlo” e subito dopo il suo accesso al potere era stato
preso di mira dai contestatori interni che volevano farlo cadere per prendere
il suo posto. Si sentiva minacciato e scomodo. Uno degli argomenti, non il
solo, nel dibattito e nelle imboscate casalinghe erano alcuni aspetti dei
rapporti fra le Gran Bretagna e l’Europa comunitaria. La prospettiva di dover
governare degli anni così spinse Cameron a una manovra essenzialmente destinata
a guadagnare tempo. Nel 2013 il premier annunciò di avere indetto un referendum
sui problemi con l’Europa per il 2016. Un modo per “addormentare” la questione.
Nessuno prevedeva, neppure lui, che
quella consulenza a distanza sarebbe diventata quasi subito un tema
attualissimo coinvolgente in futuro nella Gran Bretagna e nell’Europa. A
trasformarla furono ben altri accadimenti e crisi di ogni genere, dalle guerre
in Medio Oriente all’ondata migratoria verso l’Europa alle trasformazioni
economiche, alla crisi di diversi Paesi europei (fra cui l’Italia). Fatti e
dati che fecero montare in quasi tutto il continente un’ondata di malcontento,
tensione, in molti casi esasperazione. Sorpreso e sbilanciato, Cameron si sentì
costretto a prendere posizione, a pronunciarsi “per l’Europa, a difendere un
progetto di trattato proposto dall’Ue e dunque dalla Germania, che concedeva ai
britannici sostanziali privilegi rispetto agli altri membri dell’Ue, oltre a
quello giù garantito di restare fuori dall’euro.
I nuovi toni ringalluzzirono la
posizione, all’interno del Partito conservatore nell’ambito della contesa personale,
trascinando gli altri, stimolati dalla campagna di quella forza nuova che si chiama
Ukip, United Kingdom Independence Party, il cui leader, Nigel Farage, ha
stretto un “patto d’acciaio” e di fraternità con Beppe Grillo e i suoi Cinque
Stelle, forse indovinandone il successo nelle elezioni amministrative
dell’altro giorno. A poco a poco i sondaggi mostrarono addirittura che una
maggioranza dei cittadini britannici intendeva votare “no”. A Cameron. Ma anche
all’Europa. Un campanello d’allarme che provocò la mobilitazione
dell’establishment a Londra e fuori, dalle “fraternità” bancarie, alle
diplomazie economiche, ai governi, alle autorità europee da Bruxelles a
Berlino. Perfino Barack Obama, sulla via di lasciare la Casa Bianca, è
intervenuto a far propaganda per il “sì” e contro il Brexit, neologismo copiato
sul modello del Grexit, indicativo della sua origine greca. Negli ultimi dieci
giorni, più o meno, il favore degli elettori pare essersi spostato sulle
trincee della permanenza di Londra in Europa. Al punto che potrebbe essere
stata in qualche modo “censurata” una frase della regina interpretabile come un
delicatissimo augurio al “no”.
Dovrebbe essere la svolta
definitiva, a meno che nelle ultime ore non salti in mente ai cittadini di
Britannia che questo referendum non è figlio di una minacciata Apocalisse ma
solo di una bega interna al partito che in questo momento governa.