(Reuters)
Alberto Pasolini Zanelli
È difficile esagerare la gravità
(dunque l’importanza) di quello che è appena accaduto a Costantinopoli. L’ennesima
strage attribuibile agli integralisti assomiglia a tante altre, ma se ne
distingue per le proporzioni e soprattutto per i significati e gli obiettivi. È
stato un attacco di stile più “militare” dei soliti, con le forze armate turche
come obiettivo primario, nonostante che i civili abbiano finito anche stavolta per
pagare gran parte del conto di sangue. Ciò acuisce il significato di “sfida”.
Lo fa almeno altrettanto la scelta dell’obiettivo: Costantinopoli invece di
Ankara. Non è solo internazionalmente più noto, rivela anche che il timing non è stato casuale. Si tratta di
una “spedizione punitiva” contro lo Stato turco, mirata alle sue radici
islamiche. L’Ankara di Erdogan è stata sede, negli ultimi tempi, di una serie
di decisioni che alla leadership jihadista non possono non essere parse
particolarmente gravi. Si sono affievolite le speranze dell’Isis e soci, mai
confessate, che l’accentuarsi delle ostilità fra il governo turco e i curdi
portasse a una diminuita attività bellica contro gli integralisti, in nome
dell’antica massima secondo cui il nemico del mio nemico è mio amico. Ciò
finora non è accaduto, nonostante l’intensità dei sentimenti ostili da ambo le
parti, inclusa la persona di Erdogan. Una intensificazione di ostilità e dunque
di combattimenti è un elemento e un motivo in più per l’indebolimento militare
del Califfato evidente negli ultimi mesi un po’ su tutti i fronti, al punto che,
cadute Palmira e Falluja, perfino la “capitale” Raqqa è in pericolo. Alle
sconfitte sul campo si può rispondere solo con una intensificazione del
terrorismo.
Per cui militano altri segni di
indebolimento dell’assalto integralista. Uno è un certo miglioramento nei
rapporti fra Turchia e Stati Uniti, sia pure in modo molto indiretto ma che si
riflette sulle disponibilità sui vari fronti, da quello siro-iracheno alla
lontana e finora trascurata Libia. Ancora più significativo, forse, è il
silenzioso raffreddamento (non si può ancora parlare di “distensione”) fra
Turchia e Russia, che è e anzi diviene sempre più la forza militare prevalente
in quella che un tempo si chiamava Mezzaluna Fertile. Gli aerei e i cannoni di
Mosca picchiano duro, anche se con interruzioni ma senza le lacune dovute a
preoccupazioni politiche. La Russia è dopotutto il Paese europeo con il maggior
numero di cittadini, o sudditi, musulmani e quindi in prima linea per contenere
la spinta a una reislamizzazione. L’ultimo gesto di un “rammollimento” di
Erdogan è però l’accordo appena firmato con Israele che mette fine allo stato
di tensione e ostilità aperto dall’attacco israeliano di un paio d’anni fa
contro la nave turca che portava soccorsi in gran parte umanitari a Gaza. Il
compromesso raggiunto ora è limitato ma sostanziale e potrebbe indicare appunto
la fine di una fase “belligerante” che, a prescindere dai contenuti, isolava il
governo di Ankara in un campo che era stato sempre il suo. È vero che i
jihadisti si sono sempre occupati poco, in realtà, dei problemi e delle
necessità dei palestinesi: non sono una comunità particolarmente integralista
e, anche quando sono militanti, lo sono per cause politiche e nazionalistiche
piuttosto che religiose. La Turchia si era sempre tenuta fuori da quel vespaio.
Una volta cadutavi sembra aver trovato la saggezza di distanziarsene, pur senza
rinnegare le proprie scelte di campo.
Motivi e spunti. Rivelazioni,
considerazioni e sospetti. C’è anche la scelta dell’obiettivo. Costantinopoli e
non Ankara. Ankara è la capitale della Repubblica turca, sorta poco dopo i
“tratti ineguali” che, anche e soprattutto nel Medio Oriente, conclusero la
Prima guerra mondiale. L’iniziativa di Ataturk nacque dalla necessità di
salvare il salvabile, almeno un’identità turca che fino a quel momento era
stata la struttura portante dell’Impero Ottomano. Un’eredità che nessuno però
ha mai interamente rinnegato e il cui ricordo si è andato “riscaldando” proprio
negli anni di potere di Erdogan. I precedenti non mancano, non solo nelle
leggende profetiche, quelle della Terza Roma e della Battaglia, “decisiva per
le sorti dell’umanità”, che dovrebbe svolgersi un giorno nella pianura di Daqib
per la “riconquista” di Costantinopoli. Un luogo “magico” a cominciare dal
nome: Istanbul, “verso la città”, è come tutti la chiamano. Ma anche l’ultimo
sultano e califfo, fino al 1918, continuava a datare ufficialmente le leggi e i
decreti di governo da una capitale che era stata romana e cristiana.