Translate

Sorpresa.....!!!



Alberto Pasolini Zanelli
La prima parola uscita dai corridoi del potere, a Londra e presto anche nelle altre capitali del mondo, è stata “sorpresa”. I templi dell’alta strategia politica e quelli dell’alto reddito avevano finito col fidarsi dei sondaggi, pur nutrendo qualche dubbio sulla loro obiettività, quelli che davano i “no” in vantaggio di quattro o cinque punti dopo le angosce subite nelle settimane e nei mesi precedenti di questa lunghissima campagna referendaria sul tema dell’“Inghilterra di fronte all’Europa”. Avevano finito col crederci soprattutto le Borse e le banche, oltre alla sterlina salita in apertura della notte elettorale a quote record. Fragilità dei dati o ostinazione nel prestare fede solo alle buone notizie? Probabilmente entrambe le cose, a colorire le ultime settimane e giorni dopo che i mesi precedenti avevano visto in testa il No, o meglio il “No a questa Europa” tenendo le porte aperte a un’Europa bis. La campagna referendaria, prevista dai suoi creatori come una remota musica d’accompagnamento durante tre anni di concrete contese di governo, era montata in fretta, verso la fine, come le quotazioni della continuità dovevano saltare in alto nei giorni e ore di chiusura.
Mentre i cittadini britannici facevano la coda alle urne, i pronostici rimanevano fissi sul 52 per cento per i “no” alla secessione, dal nome ingentilito in “Sì all’Europa” e 48 per cento, dunque, per i fautori del Brexit. Anche gli oratori parevano sicuri di sé, in una “grande coalizione” che andava dai più conservatori dei deputati conservatori alla Camera dei Comuni, al primo ministro in carica, al neosindaco musulmano di Londra, alla stragrande maggioranza degli immigrati. Nelle stesse ore, o minuti, saliva a galla il rapporto di forza reale, con quel 52-48 confermato ma a vantaggio dei fautori del divorzio dall’Europa.
La nebbia di quest’atmosfera surreale è rimasta per aria durante lunghe ore. A dissiparla veramente è stato proprio il premier David Cameron, che ha annunciato le proprie dimissioni, mantenendo così la parola sull’intenzione che egli aveva manifestato tre anni prima al fine evidente di sospingere la questione e la prova di forza in un distante futuro.
Gli altri delusi si sono decisi a seguire il suo esempio con ritardi non logicamente ma comprensibilmente ingiustificabili, riassunti nelle quotazioni delle Borse ma soprattutto nei “titoli” finanziari e assicurativi, estesi a quasi tutte le Borse e templi europei in cui tutta Europa (e naturalmente l’America) celebrano i riti della prevedibilità del futuro in base alle speculazioni. I dati veri cominciano a circolare presto, alla verifica delle previsioni più catastrofiche. C’è chi dice che “metà Europa vuole andarsene”. E potrebbe essere vero, anche se una reazione delle dimensioni di quelle preannunciate appaiono eccessive nelle dimensioni e soprattutto nei tempi. I politici cominceranno poi a pagare o incassare i frutti delle loro scommesse, ma in tempi molto più lunghi e in linguaggi molto più morbidi e, ove occorra, con messaggi obbligatoriamente ambigui. I governi ricorreranno abbastanza presto, probabilmente, a proposte di nuova stesura, mirate a un futuro distante e radicate in un passato ancora più lungo, che ha visto l’ideale d’Europa sorgere in fretta per poi farsi esile al confronto con realtà non soltanto finanziarie. Un’alleanza con così potenti radici nel passato e concrete come la necessità vitale e morale di mettere fine alle guerre franco-tedesche si disperse di fronte alla prima, concretissima occasione: il progetto di un esercito europeo comune. Ciò spostò sempre più l’accento sugli accordi economici tipo “quote latte” (e i compromessi con l’Inghilterra furono numerosi e importanti) immiserendosi così da Grande Alleanza in una serie di patti essenzialmente commerciali e dunque volti non al potenziamento dell’Europa con insieme, bensì alla conservazione di “rapporti equilibrati” fra i contraenti. L’ultimo, quasi un punto d’arrivo, fu il varo dell’euro, che perse quelle che sarebbero state le sue motivazioni più nobili, intrecciandosi con vari “patti di stabilità”, che proteggono essenzialmente i più forti. Contando su una sia pur pigra accettazione degli altri europei. Così non è stato e il movimento “antieuropeo” continua ad estendersi e ad approfondirsi in quella che dovrebbe essere la geografia di una patria comune. I risentimenti viaggiano, i Paesi si dividono. Nel referendum britannico gli inglesi hanno votato “contro l’Europa”, gli scozzesi a favore, i ceti più ricchi hanno espresso una convinzione identica a quella degli immigrati, l’Inghilterra rurale ha votato contro la Londra della City. E domani ascolteremo un’altra voce europea, che salirà dalle elezioni anticipate in Spagna.